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Inizia l’Avvento, il tempo dell’operosa attesa

La liturgia della Parola di questa prima domenica ci parla appunto della venuta del Signore, che poi non è altro che l’adventus, quello che la liturgia ci propone nella sua duplice accezione: venuta del Signore alla fine dei tempi, ma anche venuta del Signore nel suo Natale, che puntualmente ogni anno celebriamo il 25 dicembre. Entrambe le venute non possono lasciarci indifferenti, invitandoci nel primo caso a prepararci vegliando e pregando e nel secondo caso a non perderci dietro a stili di un Natale folcloristico e commerciale, ma viverlo come evento di grazia di un Dio che “per noi uomini per la nostra salvezza discese dal cielo” ed “è venuto ad abitare in mezzo a noi”.

Il Vangelo di questa prima domenica sottolinea l’importanza della venuta gloriosa del Signore. Ecco la seconda indicazione preziosa per chi si dispone a vivere bene non solo l’avvento ma tutta la propria vita cristiana: vincere la distrazione e concentrarsi, nel senso proprio del termine, mettere al centro, il fatto che “il Signore verrà all’improvviso, come un ladro”. Questa descrizione non ha naturalmente la finalità di incutere nel nostro spirito paura e preoccupazione, ma di vegliare con tutte le nostre forze affinché non cadiamo rovinosamente come avvenne al tempo di Noè, quando la gente, presa da mille cose, occupata nell’ordinaria quotidianità, non si accorse di nulla e fu travolta dal diluvio. Come non riconoscere che uno dei più grandi mali spirituali dei cristiani dei nostri tempi è proprio questa distrazione, ossia, come la definisce il vocabolario “quel processo di distogliere l’attenzione da un’area di interesse specifico che tende a bloccare o ridurre l’interesse, l’attaccamento e l’amore per una determinata realtà”. Il pericolo non è solo dei cosiddetti lontani, ma anche di chi si occupa delle “cose di Dio”, di chi addirittura è chiamato a promuovere, diffondere e trasmettere le meraviglie operate dal Signore per la nostra salvezza.

Questa distrazione o disaffezione per le cose spirituali non ci aiuta a comprendere bene il fine ultimo della nostra vita, facendoci trovare impreparati all’incontro definitivo con Dio, e accadrà ancora una volta che “due uomini saranno nel campo: uno verrà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà presa e l’altra lasciata”. Ci chiediamo: è meglio essere presi o essere lasciati? La risposta dipende da quello che noi intendiamo: se essere presi significa essere sacrificati, nessuno vorrebbe finire in modo così inesorabile; se essere lasciati significa essere risparmiati, cosa non faremmo per continuare a vivere anche in mezzo a mille angustie! Se invece l’esser presi significa essere per sempre con il Signore, trovare finalmente il Lui il compimento di tutte le nostre aspirazioni, e di contro essere lasciati significa essere abbondonati a noi stessi, al nostro destino, anche il nostro desiderio di vivere o di morire assume tutto un altro significato.

La Parola non dà risposte ai nostri inquietanti interrogativi, ma ci dice con chiarezza qual è la scelta migliore da fare, mentre attendiamo la venuta del Signore: “vegliare” e “tenersi pronti”. Solo così la venuta del Signore non sarà motivo di paura, ansia o preoccupazione, ma stimolo per accelerare il passo e andare con gioia incontro a Lui, nella certezza che il conseguente incontro tra Colui che viene e noi che gli andiamo incontro non potrà non essere motivo di gioia e di pace per sempre.