La chiamata di Dio e l'invidia degli uomini

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Giacomo D'Anna

Il Vangelo di questa domenica ci narra la parabola del re che esce per chiamare operai disposti a lavorare per lui. Il racconto è contenuto nel vangelo di Matteo, l’evangelista che ha vissuto in prima persona la stessa esperienza (cfr. Mt 9,9). “Egli infatti prima che Gesù lo chiamasse, faceva di mestiere il pubblicano e perciò era considerato pubblico peccatore, escluso dalla vigna del Signore. Ma tutto cambia quando Gesù passando accanto al suo banco delle imposte, lo guarda e gli dice: ‘Seguimi’. Matteo si alzò e lo seguì. Da pubblicano diventò discepolo di Cristo. Da ultimo si trovò primo” (Benedetto XVI).
Personalmente del racconto mi piace sottolineare i primi quattro verbi che incontriamo. Essi sono: uscire, vedere, chiamare e mandare.
Uscire ci mostra un re che non se ne sta comodamente seduto in casa, aspettando chi viene a visitarlo, prono davanti al suo trono, ma uno che esce per andare cercare, che non manda a chiamare, ma va in prima persona, senza per questo sentirsi squalificato, dimostrando così il suo essere particolarmente “estroverso”. Ed esce non solo una volta sola, ma addirittura ogni giorno e più volte, addirittura ben cinque volte, un re veramente instancabile nel suo uscire e andare.
Vedere. Usci e vide. Un re non con gli occhi chiusi, magari rivolti su sé stesso, ma attento a trecentosessanta gradi verso quanti lo circondano, qualcuno con occhi capaci di vedere e accorgersi che sono molti ancora quelli non coinvolti a lavorare nella vigna.
Chiamare. Un re che chiama, che invita, che sprona all’impegno e sa coinvolgere molti nella sua opera. Per lui non può esistere la disoccupazione: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far nulla?”. E chiama tutti indistintamente, con l’amore di un padre cui sta a cuore l’occupazione e la realizzazione dei propri figli.
Mandare. Li chiama e li manda: “Andate anche voi a lavorare nella mia vigna”. Una chiamata non a numero chiuso, non un concorso con numeri fissi, ma una vocazione che libera e ti spinge a dare il meglio di te.
Ogni cristiano singolarmente e tutta la Chiesa comunitariamente sanno di esistere per mettere in pratica l’insegnamento di Gesù, per seguire le sue orme, per imitare lo stesso stile di vita. Ecco perché i verbi del re devono essere coniugati anche per ogni cristiano e per la Chiesa tutta. Da qui l’insistenza di Papa Francesco a che la Chiesa di oggi sia una Chiesa estroversa, in uscita, e con franchezza ricorda che: “La chiesa che non esce si ammala di tanti mali. È vero che quando uno esce c’è il pericolo di un incidente. Ma è meglio una Chiesa incidentata, per uscire, che una Chiesa ammalata da chiusura”. E perché la Chiesa deve uscire? Per fare tutto quello che il re della parabola, che come sappiamo non è altro che Dio, ha fatto, ossia avere gli stessi suoi atteggiamenti, deve cioè saper scorgere i tanti fratelli che se ne stanno ancora ai margini della strada, per scelta o perché “nessuno li ha presi a giornata”. Una Chiesa attenta con gli occhi aperti, ma Chiesa che sa coinvolgere, e per poter coinvolgere deve essere eccezionalmente “simpatica”, nel senso etimologico del termine, avere cioè gli stessi sentimenti di chi ha incontrato lungo la via. Una Chiesa anche che ti rende partecipe e addirittura protagonista in tutto ciò che fa. Una Chiesa infine che manda, secondo il suo spirito apostolico e la sua indole missionaria, perché convinta di esistere proprio per andare e portare a tutti il Vangelo del regno e con esso la pace e la gioia fino agli estremi confini della terra.
Il problema sta nella ricompensa. Il re scavalca tutti i parametri della giustizia sociale, abbatte tutti i canoni della meritocrazia e della equa retribuzione. Perché lo fa? Non certo per insegnare una logica dell’ingiustizia, della frode e dell’inganno, ma la logica dell’amore e della misericordia, che tratta tutti con lo stesso metro e ripaga tutti con lo stessa ricompensa, non perché ingiusto e scorretto, ma perché è Padre e ciò che conta per Lui è la felicità dei propri figli, la realizzazione piena del loro essere ed esistere, che consiste proprio nel sentirsi amati da Lui, scelti e chiamati per un’ avventura meravigliosa, mandati a seminare nel mondo la cosa più bella e necessaria: la gioia. Se comprenderemo questo e accoglieremo l’invito a lavorare nella sua vigna, abbiamo già ricevuto la nostra ricompensa.

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