{module AddThis} Addirittura dimostrano come, negli ultimi 100 anni, in Calabria il tempo si sia fermato, soprattutto se consideriamo certe pratiche di fede e certi modi di vivere le processioni. E questa stasi non è certo dovuta al silenzio dei Vescovi che, come leggeremo, hanno condannato con una straordinaria fermezza e durezza gli episodi “scandalosi, ridicoli e profani” che avvenivano -e a volte continuano ad avvenire- durante le processioni.
Il documento in questione è la Lettera Pastorale – Collettiva dell’Episcopato Calabrese diramata in occasione della Santa Quaresima del 1916 e custodita presso l’Archivio Storico Diocesano di Reggio Calabria perché appartenuta al carteggio dell’Arcivescovo di allora, Mons. Rousset. L’idea di scrivere questa lettera è nata in seguito ad una riunione dei Vescovi Calabresi tenutasi dal 27 al 29 novembre 1915. “Questa volta nel chiudersi della nostra Conferenza Episcopale fu espresso un voto: mentre in passato si solevano notificare quasi privatamente da ogni Vescovo e per lo più al solo Clero le deliberazioni di tali Conferenza, questo anno invece si dovessero partecipare a tutti, Clero e popolo, mediante una lettera pastorale collettiva di tutto l’episcopato calabrese, che serivisse anche di Pastorale per la prossima Quaresima. Tale appunto è lo scopo della presente”.
Certamente, scrivono i Vescovi, ogni parola sarà accolta con rispetto e venerazione e ognuno farà del suo meglio per attuare, in ogni parte, le deliberazioni della Conferenza. Ma i Vescovi, in questo, sono stati traditi. Infatti, sfogliando le pagine polverose di questo documento quasi centenario, si scorgono delle deliberazioni quanto mai attuali, così “vive” che sembrerebbero appartenere a un documento contemporaneo.
Un intera sezione del documento è dedicata alle processioni. E l’intendimento è chiaro fin dal titolo: “Processioni – abusi da eliminare”. Ancor di più se si leggono alcune righe: “Fratelli dilettissimi, mentre da una parte amiamo e veneriamo le vere processioni e cioè le processioni serie e veramente religiose, dall’altra non possiamo fare a meno di detestare e di deplorare, come detestiamo e deploriamo dal più profondo dell’animo nostro, una quantità di abusi inqualificabili che si verificano in non pochi luoghi della nostra Calabria e che rendono le processioni non solo profane, ma, lasciatecelo dire francamente, scandalose e ridicole di fronte ai forestieri ed anche alle persone del luogo, dotate appena di un po’ di buon senso e serietà”. Come se non bastasse i Vescovi decidono di dettagliare questi abusi facendone un nutrito elenco: “Come infatti chiamare ancora religiose certe processioni che si protraggono per mezze giornate e nelle quali, come se il santo fosse un burattino, lo si fa girare per tutti i vicoli e i viottoli del paese, facendolo sostare, qui davanti la casa del procuratore A o dell’offerente B; più in là sopra un tavolino dinanzi a una casa o una bettola, nelle quali i portatori entrano a rifocillarsi? Ma un tale procedere, oltrechè profano e ridicolo, è contrario affatto allo spirito della Chiesa, la quale non intende che le statue durante le processioni si fermino a richiesta di privati, ma seguano recto tramite il loro itinerario, breve quanto possibile e determinato”. Molti altri sono gli abusi che i presuli calabresi stigmatizzano, purtroppo non possiamo darne conto dalle nostre pagine.
Un ultimo accenno vale la pena di farlo.
Al termine del documento, poco prima delle conclusioni, viene riportata una deliberazione sui Padrini. “I curati insegnino di proposito al popolo che non possono far da padrini del Battesimo e della Confermazione i notoriamente scandalosi e irreligiosi, e, per nessun motivo permettano che questi si presentino al Vescovo per compiere tale ufficio”. I Vescovi spiegano come questa deliberazione fosse necessaria, perché “oggi specialmente, non sono rari i casi in cui le famiglie scelgono a Padrini dei loro figli persone tutt’altro che degni e capaci di compiere a quest’ufficio”. Questo avviene perché vi è “la mania di contrarre la cognazione spirituale colla tale o tale famiglia; mania che fa chiudere gli occhi sulle qualità morali e religiose che si richiedono in un Padrino”.
Altro che silenzio, dunque. I Vescovi Calabresi parlarono e parlano chiaro. Spesso però è la sordità che vanifica tutti gli sforzi. Anche quelli più sinceri e profondi, profusi per costruire una Calabria migliore.
di Davide Imeneo
Tratto da L’Avvenire di Calabria del 18 ottobre 2014