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In Gesù, il chicco di grano che muore per portare frutto

Il vangelo inizia con il desiderio di alcuni greci che chiedono ad uno degli apostoli, Filippo, di poter vedere Gesù. È una richiesta spirituale che viene dal profondo del cuore e che è iscritta nell’intimo di ognuno di noi. Ma perché i greci vogliono vedere Gesù? Perché noi vogliamo vedere Gesù? Questo comune desiderio è motivato più da una semplice curiosità, per averne sentito parlare, perché siamo stati affascinati dal suo messaggio e colpiti dai suoi miracoli, o piuttosto perché comprendiamo che solo Lui è la via, la verità la vita e dunque la risposta a tutte le nostre necessità? “Tu ci hai fatto per Te e il nostro cuore è inquieto, non ha pace, finché non trova pace in te”. È questo il grido del grande sant’Agostino nelle memorabili Confessioni, che descrivono il nostro bisogno e la sete di Dio.
Al tempo di Gesù gli ebrei non potevano entrare in contatto con i pagani neanche verbalmente a causa delle leggi di purità. Gesù non si crea problemi ed accetta la richiesta. In questo sua libera decisione, non a caso posta quando ormai “è giunta l’ora”, si riflette la volontà del Signore di ammettere alla sua sequela non solo i pii israeliti osservanti delle Legge, ma anche i pagani. D’altronde anche nella scena del suo primo apparire nella storia, il giorno del suo Natale, alla grotta di Betlemme, subito dopo i pastori, i primi ad arrivare sono i Magi, simbolo dei più lontani del tempo, segno dei tanti extracomunitari e migranti di oggi. Quella scena, che noi celebriamo ogni anno il giorno dell’Epifania, apre la comunità cristiana all’universalità (cattolicità) della fede, e per questo preghiamo: “Ti adoreranno Signore tutti i popoli della terra”. Il piccolo gregge allora comincia ad allargarsi per far posto e accogliere tutti gli uomini di buona volontà, e quanti cercano Dio con cuore sincero.
Gesù accetta l’incontro ed è necessaria una sua autopresentazione. Chi di noi, soprattutto se rivestito di un certo incarico o autorità, di un alto titolo o qualità, non userebbe il termine o l’immagine più altisonante e trionfante per proporsi? Invece no, Gesù si presenta come un semplice chicco di fumento che deve cadere in terra, morire, marcire per poi risorgere a vita nuova e portare molto frutto. Non possiamo non leggere in questa parabola una chiara allusione al mistero della Croce e dunque al mistero della salvezza che Gesù realizzerà da lì a poco, essendo tra l’altro questo l’ultimo suo discorso pubblico prima della passione.
Ciò che conta per noi è comprendere l’insegnamento di Gesù, indispensabile per la vita di quanti si dicono cristiani e dunque suoi discepoli, disposti a seguire le orme del grande Maestro che insegna con la parola e con l’esempio la logica non del fiorire ma del marcire, non del vincere ma del perdere, non dell’apparire ma dello scomparire. È la logica dell’amore supremo di Dio, la logica del Vangelo. Dobbiamo riconoscere che tale mentalità evangelica, con al centro il mistero ella croce, potrebbe appare anche a noi cristiani qualcosa di incomprensibile e inaccettabile. Eppure sappiamo che la croce non è semplicemente sinonimo di fatica, dolore, fallimento, ma è la prova più grande dell’amore vero, quello di Dio, che trova il suo apice nella piena comunione e solidarietà con gli uomini, espresse dal fatto che “chi ama la propria vita la perde e chi la odia la conserverà per sempre”. Nella croce allora vediamo un amore forte, ostinato, che non si lascia scoraggiare e vincere da niente e da nessuno. Il Dio dei cristiani non è quel Dio forte, autoritario, invincibile che tutti si aspettano e desiderano, ma un Dio che si consegna per amore nelle mani degli uomini, che “mette il suo corpo nelle loro mani”, che si abbandona al nostro amore, sperando in una nostra sincera e gioiosa risposta, seppur debole. Solo seguendo il suo esempio e scegliendo di abbracciare ogni giorno la nostra croce, offrendo anche noi la vita per amore dei fratelli, saremo testimoni credibili dell’amore di Dio che libera, guarisce e salva.