{module AddThis} Il Mo.C.I (Movimento per la Cooperazione Internazionale) è inserito tra le associazioni nelle quali è possibile prestare Servizio Civile infatti da molti anni esercita un’azione di sensibilizzazione sul territorio, sui problemi dell’interculturalità, dell’accoglienza e dell’integrazione delle persone provenienti dai Paesi in Via di sviluppo.
Molti ragazzi hanno prestato servizio presso il Mo.C.I, e ancora oggi continuano a farlo sostenendo numerose campagne solidali e collaborando con il Coordinamento Diocesano “EMERGENZA MIGRANTI” al quale fanno parte molte associazioni tra cui: la Caritas Diocesana, il Masci, l’Agesci il Centro Diocesano Migrantes, l’Ufficio missionario, la Missione con cura d’anime per immigrati presso S. Agostino, l’ Associazione “Comunità Papa Giovanni XXIII”, il Centro di ascolto per immigrati “G. B. Scalabrini”, la Comunità di vita cristiana (CVX) e il Gris,. Tutte le associazioni si pongono un obiettivo molto importante, che è quello di favorire l’integrazione e cooperare al fine di vivere con il prossimo come dimostra la testimonianza che segue.come è possibile vedere dalle testimonianze che seguono.
Dello sbarco la prima immagine che ho davanti agli occhi mi riporta a quei volti dei bambini in braccio o per mano dei loro genitori che spaesati salutano contenti le persone che vedono, ma ricordo anche i volti e gli occhi spenti di altri stanchi, stremati in contrasto invece ad altri occhi felici per aver finalmente toccato terra.
Non so cosa abbiano pensato quando ci hanno visti tutti coperti, dare loro acqua e scarpe, fare foto, fare domande, dare loro i numeri identificativi, dividerli, contarli, visitarli sotto il sole, anche perché alcuni di noi sul molo eravamo insaccati in una tuta, avevamo le mascherine sul volto e i guanti bianchi alle mani, tanto da non sembrare neanche più delle persone ma degli alieni.
Appartenevano a etnie e a Paesi diversi, avevano storie diverse alle spalle e sogni diversi, avevano anche età differenti, ma quel giorno erano tutti lì insieme, appena sbarcati, che aspettavano di sapere quale sarebbe stato il loro oscuro destino.
Nonostante lo sbarco sia durato tutta la mattinata e anche nel primo pomeriggio, non mi sono resa conto delle ore che passavano. Dal momento in cui la nave è arrivata al porto al momento in cui sono andata via, il tempo è scivolato via, tante erano le emozioni che ho provato e le cose da fare per far risultare meno faticoso il ricordo del viaggio e per far si che i loro occhi e i loro volti trovassero una piccola sebbene reale serenità e alleviare le paure e il terrore creati dal lungo tragitto in mare.
Dalla pelle d’oca alla vista dell’arrivo della nave alla voglia di fare qualcosa per dare un po’ di sollievo, anche un solo sorriso, sono arrivata alla fine della mattina stremata. É nel centro di prima accoglienza però che ho avuto modo di conoscere la realtà di queste persone. Adesso dormono e vivono in una palestra, su delle brandine, aspettando notizie sul loro destino da parte di qualche autorità, vivendo tra un pasto e l’altro nell’ansia di capire cosa devono fare per “essere in regola” e poter iniziare una nuova vita.
Una delle due domande più frequenti che ci fanno è cosa devono fare per avere i documenti necessari per circolare, vivere e lavorare in Italia o in Europa.
Ma sappiamo bene che nell’italiano corrente le parole “immigrato” “clandestino” hanno una connotazione ormai negativa, che designano persone che rubano il lavoro, che vivono al di fuori della legge, che fanno tutto quello che vogliono e che delinquono. Come se non avere documenti o il non essere in regola sia una loro libera scelta, fatta per poter vivere al di fuori della legge e impunemente.
Invece la principale preoccupazione era proprio sapere cosa dovevano fare per avere i permessi per poter uscire dal centro e poter circolare, lavorare e vivere liberamente in una società come cittadini normali.
L’altra grande e frequente domanda era “cosa ne sarà di me?”. E’ stata la prima cosa che mi hanno chiesto appena messo il piede per la prima volta nel centro.
Alcuni hanno parenti, amici o conoscenti in Italia o in qualche Stato europeo, e quindi chiedevano quanto costassero i mezzi per raggiungere tale città o tale Stato, ma molti altri non avevano nessuno e quindi non avevano idea di dove andare, sapevano solo che volevano cercare una casa e un lavoro, ovunque ci fosse posto e spazio.
Il desiderio di poter parlare con queste persone di loro e della loro vita,è forte perché niente come uno sbarco ti fa capire che non sono cifre,o una massa di persone che sono arrivate sulle nostre coste, ma che sono uomini e donne e bambini,scappati da guerre e persecuzioni, ma anche dalla povertà e dalle malattie, che l’unico desiderio che hanno nel cuore è la speranza di rifarsi e riavere una vita.
Parlare con loro e condividere con loro questi momenti così difficili, ti lascia qualcosa dentro che è difficile da dimenticare. Ma come dice nell’omelia Mons. Morosini per la Solennità della Madonna della Consolazione: Consolare, è esserci, costi quel che costi, quando si tratta di assumersi le proprie responsabilità; consolare, è guardare all’uomo riconoscendo in lui la dignità di essere persona e non un numero da sommare ad altri. Consolare, per noi credenti, è coniugare la grammatica della fede con l’alfabeto della vita, perché una fede disincarnata, semplicisticamente devozionista, non è fede. Essa deve profumare di Vangelo e tradursi in buone prassi di vita, misurandosi con le sfide di un mondo che cambia.
Perciò è questo che mi auguro e che vorrei vedere dopo questa esperienza in una società cristiana come la nostra: riuscire a rendere possibile l’integrazione, capire che la diversità altro non deve essere concepita se non una ricchezza e non negare mai al prossimo che ci troviamo davanti o a fianco un posto, un sorriso o una mano sicura per dire “Sei mio fratello”.
Tante sono le ansie e timori che assalgono questa gente, che porta con se una sola speranza, quella di vivere.