La vita della Trinità non appare così statica ma dinamica e tale movimento d’amore a un certo punto diventa creativo: «tutto è stato fatto per mezzo di lui». Questo significa che se il Verbo è il modello che il divin pittore ha contemplato per dipingere le creature, tutto è pervaso dall’amore divino, tutto è amore. C’è un presentimento d’amore che dobbiamo cercare in ogni cosa, anche nelle realtà che a causa del peccato hanno perso la loro somiglianza con tale modello divino. Questa vita, comunicata agli uomini, viene definita «luce» che «splende nelle tenebre». L’immagine suppone la persistenza dell’oscurità come realtà non tanto fisica quanto storica: ma perché la luce non disperde completamente le tenebre? Di esse si dice semplicemente che «non l’hanno vinta», non che sono state spazzate vie; si suppone un combattimento tra bene e male, tuttavia quest’ultimo continua a sussistere. Forse dobbiamo partire da qui per comprendere il mistero dell’Incarnazione. «Non lo ha riconosciuto… non lo hanno accolto»: il Verbo non viene nel mondo con la potenza che si impone al di sopra di tutto e malgrado ogni cosa; rimane potente, come la luce, ma c’è sempre la possibilità di rimanere in una stanza al buio, o addirittura di chiudere gli occhi persino all’aperto, cioè di rifiutare l’amore. Tale rifiuto viene opposto al testimone della luce, il Battista, perché per rigettare Dio non è necessario teorizzare l’ateismo, ma basta vivere l’ateismo pratico che coincide col rifiuto dell’uomo, e in particolare dell’uomo che comunica il mistero di Dio. Si tratta qui del profeta, ma anche del povero, dell’ammalato, dello straniero. Il vangelo ci dirà che esistono alcuni uomini che sono in maniera più vivida il prolungamento del Verbo incarnato, perché ne costituiscono le membra fragili e per questo più preziose. «Perché tutti credessero per mezzo di lui»; è essenziale dunque il ruolo del testimone per poter accedere con fede alla luce. Perché credervi? Dovrebbe essere spontaneo amare la luce, il bene, la verità, ma il peccato è la somma stoltezza di preferire il male. È solo il contatto con la Parola che dà l’intelligenza delle opere di Dio, la comprensione profonda del suo amore. E ogni Parola di Dio che accogliamo ci ricorda che siamo figli amati, anzi ci conferisce il «potere di diventare figli di Dio». Dobbiamo imparare a ‘giocare’ con questa Parola che assume le sembianze di un bambino, ossia scrutarla, girarla e rigirarla, come fa un bambino con le costruzioni, per scoprirne qualche sfaccettatura nuova, che solitamente è sempre nel segno della tenerezza. Ad esempio, un giorno in momento di prova leggevo nel Salmo 52: «Dio è fedele». All’inizio ho pensato: niente di nuovo, lo sappiamo già; subito dopo scopro che l’orante aggiunge: «ogni giorno». È cambiato tutto: la luce della Parola ha illuminato la mia coscienza, perché mi ha rivelato che, se mi fido del Signore, ogni giorno farò esperienza della sua consolante fedeltà. Tale Parola ci rigenera in quanto figli ed è sempre accessibile perché si è ‘attendata’ presso di noi. Si ristabilisce con Gesù l’amicizia tra l’uomo e Dio che scendeva a passeggiare nel giardino con Adamo; tale presenza è assicurata dallo Spirito che prolunga l’azione del Risorto nel mondo. «Grazia e verità» sono gli ulteriori attributi del Verbo, e ci ricordano che ci sono solo questi due modi per attingere la vita e la luce di cui Egli è portatore. Il primo è entrare nella logica del dono gratuito, perché essa è la logica di Dio e deve diventare il modo con cui noi ci rivolgiamo ‘verso’ i fratelli: questo fare è divino. Il secondo non è altro che sposare in ogni scelta particolare la forza dell’universale verità dell’amore: dovunque tu sei vero, il Verbo si fa carne in te.