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Il Vangelo è attualità

La parola della Domenica

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I giornali, i media in generale, ci informano di tante persone che muoiono, vittime di guerra o di altri atti violenti da parte di gruppi o di singoli, vittime innocenti che la società non ha potuto e saputo difendere. La morte è una realtà che fa parte della stessa vita, ma che in molti casi rimane emarginata in alcuni luoghi e in alcuni tempi, perché il solo pensiero ci mette in difficoltà. Quando si avvicina e vuole entrare nelle nostre case, nelle nostre famiglie, siamo costretti a farne esperienza, cerchiamo di arginarla attraverso l’emotività del momento, ricercando ricordi benevoli del defunto e legandola a un destino incontrollabile, pensando che tutto questo possa costituire in noi una parvenza di eternità. Ci siamo talmente abituati a questo tipo di atteggiamento che ormai abbiamo paura di guardare in faccia la realtà e di chiederci che cos’è questo mistero? Da dove viene? E cosa possiamo fare? Da cristiani pensiamo e viviamo come se l’incarnazione, la morte e la risurrezione non siano mai avvenute. E invece ci sono state, e ci sono ancora oggi, così come il messaggio che Gesù ha annunciato, basta ricordarsi che nelle mani, nella testa e nel cuore non dobbiamo tenere solo il giornale, ma anche e soprattutto il Vangelo.
Mi sono chiesto se in quest’ultimo periodo ci sia stato qualcuno che davanti a una strage o alla stessa guerra abbia avuto il coraggio di parlare di conversione, correndo il rischio di passare come “politicamente scorretto”, in modo esplicito come Gesù ha fatto. Nella sua vita terrena i Figlio di Dio si è trovato diverse volte davanti alla morte e alla sofferenza provocata dalla morte, ha pianto, ha provato compassione e ha ridato la vita (Cfr. Mc 5,22-49; Lc 7,11-17, Gv 11,1-44). Per ben due volte ha fatto capire in modo esplicito che il potere della morte è svuotato (Cfr. Rm 5,12-21), per lui Lazzaro e la figlia di Giairo non sono morti ma stanno dormendo, solo lui ha l’autorità di chiamare la morte sonno. In Lc 13,19 quando alcuni si presentano a riferire della morte di alcuni Galilei che Pilato aveva fatto uccidere in modo sorprendente Gesù, dice: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?” E per i diciotto su cui rovinò la torre di Siloe, aggiunge: “Credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?” e conclude in entrambi i casi: “No, vi dico, ma se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo”. Non si sofferma ad analizzare le cause contingenti, ma rileva la causa esistenziale, l’origine stessa della morte, il peccato e la colpa, che l’apostolo Paolo esprime così. “Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato”. (Rm 5,12).
Il peccato e la colpa, la morte stessa, trovano un solo rimedio in Gesù Cristo e nella nostra conversione. La novità del brano è propria questa, in altri passi l’attenzione posta sulla conversione afferiva alla modalità umana come cambiamento di vita, in questo caso la metanoia non è considerata come una possibilità ma come una necessità. Nella bilancia della libera scelta umana la conversione non è posta sul piatto della possibilità ma su quello della necessità. La conversione non è un elemento secondario ma una questione di vita e di morte.
La conversione come possibilità va posta come dono di Dio e lui che nella sua misericordia rende possibile questa scelta, da ancora la possibilità all’albero di portare frutti. Nella seconda parte del brano, infatti, viene mostrato il legame tra la conversione e la misericordia. Nella parabola del fico il “tale” dimostra l’interesse verso l’albero con la visita e la richiesta di frutti, chiede al fico di fare secondo la sua natura, l’intervento del vignaiolo non annulla la richiesta di frutti, ma chiede un prolungamento del tempo con la promessa di un impegno diverso. La misericordia non elimina la conversione ma la rende possibile attraverso la pazienza di Dio e il serio impegno umano nel “zappare e concimare”.