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Il Risorto appare, la tristezza cede il posto alla gioia

Nel vecchio catechismo ci hanno insegnato che “Dio è in cielo e in terra e in ogni luogo”: celebrare la Pasqua significa non lasciare questa verità di fede a pura dottrina, ma trasformarla in esperienza di vita, per cui non dobbiamo chiederci, come abbiamo fatto nei momenti di scoraggiamento, “Dov’è Dio?”, ma proclamare con le labbra e con il cuore che il Signore è veramente risorto, sentendolo quotidianamente vivo e vero, presente nella nostra storia e nel nostro tempo.
il Vangelo di oggi ci descrive la prima comunità cristiana come una comunità impaurita, chiusa e nascosta, e ci dice anche la motivazione di questo stato d’animo: “per timore dei giudei”. Anche noi oggi abbiamo timori e dubbi, ma stranamente è proprio in queste nostre negatività che Gesù viene e sta in mezzo a noi; non ci raggiunge nei momenti di successo e di benessere, e neppure nei momenti di grande esaltazione spirituale, e cosa ci dice, cosa ci dona? “Pace a voi!”. Una parola semplice, ma quanto mai essenziale, indispensabile. In un mondo dove ancora tanti focolai di guerra sono accesi, in una società dove ancora tante conflittualità sembrano divampare sempre più, Gesù risorto viene a stare in mezzo a noi non per farci semplicemente un augurio pasquale, non per esprimere l’auspicio di un futuro sereno, ma viene a donarci sé stesso, Lui che è la nostra pace. Mi pare poi molto significativo il gesto con cui Egli trasmette a noi il dono della pace: “Mostrò loro le mani e il fianco”, presentando cioè i segni della sua passione. “Dalle tue piaghe noi siamo stati guariti”, leggiamo nella prima lettera di Pietro (2,25); una professione di fede che ci fa quasi udire la voce di Gesù, il quale dice: “Io sono risorto, ho vinto la morte, ma le ferite, le piaghe restano sempre, come memoria dell’infinito amore che ho avuto per voi”; ed è sempre Lui che sembra dirci: “Coraggio, non temete, tutto passa, anche le sofferenze e le prove più grandi, perché io sarò con voi per sempre”. Difatti cosa avviene nella vita di quei discepoli tristi, delusi e impauriti, alla vista di quelle piaghe? “Gioirono al vedere il Signore”. Ecco il miracolo della fede: la tristezza cede il posto alla gioia, la paura al coraggio, la delusione alla fiducia.
Una volta confermati nella fede da quella gloriosa visione del risorto, gli apostoli non se ne possono stare più chiusi in casa, a vivere di ricordi, a compiacersi di quell’apparizione, ma accolgono con gioia e con coraggio un mandato importante, una missione specifica: “Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi!”. Nasce così proprio dal mistero pasquale la Chiesa missionaria, “la Chiesa in uscita”, come non si stanca di ricordarci Papa Francesco.
C’è poi un’ulteriore indicazione quasi nascosta tra le righe, che vuole specificare qual è la scaturigine della pace e della gioia pasquale: il perdono dei peccati. Sì, non c’è pace, non c’è gioia senza il perdono, del Signore prima, ma anche dei fratelli.
Entra poi in scena Tommaso, detto “Didimo”, ossia “gemello” di ognuno di noi così duri nel credere nella risurrezione e tardi nell’accogliere la fede in Gesù risorto. “Se non vedo non credo” sono le parole dello scettico Tommaso, sono le nostre parole, specialmente quando dobbiamo credere alle grandi verità della fede e alle tante testimonianze di vera carità, ma quanto mai pronti e disposti a berci tutte le bugie e le fandonie che ci vengono quotidianamente instillate in ogni forma e con ogni mezzo.
La scena si conclude con una delle professioni di fede e preghiera più belle che la tradizione cristiana ci ha trasmesso: “Mio Signore e mio Dio”. Non un gesto di chi tocca e introduce il dito, come spesso l’iconografia classica rappresenta l’apostolo Tommaso, ma due parole che riconoscono in Gesù risorto il vero Signore e il vero Dio. Nella Pasqua del Signore preghiamo affinché il Signore aumenti la nostra fede e ci renda apostoli di gioia, testimoni di speranza, artefici di pace nel mondo.

Monsignor Giacomo D’Anna