{module AddThis}Questa tentazione grande nasce da un desiderio perverso, ma anche da un’esperienza che coglie la presenza di Dio in modo sbagliato ed è presente anche in chi segue Gesù. I discepoli assistono all’incontro di Gesù con il tale ricco che cerca la vita eterna, e l’istruzione che segue è indirizzata proprio a loro, la ricchezza non dà nessuna felicità anzi è un ostacolo. Questa gioia è legata strettamente a Lui e si realizza nella sua sequela, è legata alla sua missione di passione morte e risurrezione. Ma cosa vuol dire questo per chi segue Gesù? Per gli apostoli allora e per noi oggi? Che cosa hanno capito loro e cosa comprendiamo noi?
L’incomprensione dei dodici è manifestata in un primo momento da Giacomo e Giovanni che si avvicinano a Gesù ed esprimono fortemente un desiderio: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Il desiderio espresso potrebbe sembrare neutro, o addirittura buono, cioè esprimerebbe una certa fiducia sul potere di Gesù di esaudire le richieste, Gesù stesso dà la possibilità di esprimere il desiderio. Ma è la disponibilità di Gesù che permette loro di svelare non solo la brama di successo e di potere ma anche l’incomprensione della persona con cui si stanno svolgendo una relazione, il loro rapporto di sequela con Lui e, infine, l’incomprensione della loro stessa esistenza.
Se poco prima, per la strada, Gesù aveva annunciato per la terza volta la sua passione, cercando di coinvolgere i dodici, ora si trova davanti a una richiesta che se da una parte non rinnega questa chiamata dall’altra la comprende e la orienta diversamente: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Quello che sorprende il lettore è l’idea che i due fratelli hanno della gloria, che l’evangelista lega finemente al momento della croce in cui ritorna l’espressione “alla sua destra e alla sua sinistra”. Ed è proprio questo il contenuto della risposta di Gesù, suggerisce ancora una volta la possibilità di una condivisione nel futuro di quello che sta per compiere. Se c’è un desiderio di sequela e di condivisione della missione e della vita di Gesù i figli di Zebedeo devono ora capire che non è per raggiungere il fine che abita nei loro cuori e che senza pudore hanno espresso, ma per partecipare al calice e al battesimo che caratterizza la missione di Gesù. Rispondendo in questo modo Gesù inizia a curare il desiderio, lo educa ponendo domanda su domanda, non reprime fin dall’inizio, non nega nulla, ma pone domande che purificano motivazioni e impulsi. Educa al dono gratuito, disinteressato della propria vita, invitando ad associarsi e identificarsi con il proprio percorso di vita, fino all’estremo limite.
La risposta dei figli di Zebedeo, “Lo possiamo” serve a Gesù per continuare la sua istruzione di purificazione, la frase “Quanto sedere alla mia destra o alla mia sinistra, non sta a me concederlo, ma è per coloro ai quali è stato destinato” se da una parte resta, volutamente enigmatica dall’altra è ancora al servizio dell’insegnamento di Gesù che sta cercando di purificare il desiderio di sequela. Chiede, infatti, ai discepoli di condividere la sua missione senza la certezza di un “posto”, senza condizioni e soprattutto chiede di ritornare alla logica della volontà di Dio, poiché la stessa affermazione va letta per purificare il “Vogliamo” iniziale con il quale i due apostoli avevano aperto il dialogo con il Maestro. Nella risposta scopriamo un limite accettato da Gesù. Ciò che è preparato da Dio resta inafferrabile, anche per Lui. Ma in questo modo scopriamo con gioia che la fiducia del Figlio nei confronti del Padre non solo è totale, ma totalmente pura. È da questo rapporto speciale con il Padre che nasce il dono della vita del Figlio, dono che è la forma più alta di servizio e dentro il quale deve entrare ogni servizio e ogni desiderio. Attraverso l’obiezione posta dagli altri dieci il narratore estende l’insegnamento agli apostoli e oggi a noi che spinti dai nostri “desideri” abbiamo iniziato a seguire il Signore.