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Il messaggio dell’arcivescovo Fortunato Morrone per la Quaresima

Carissimi fratelli e carissime sorelle, vi raggiungo con questa modalità epistolare in occasione del tempo di Quaresima che fra pochi giorni ci apprestiamo a vivere. Già conoscete il significato di questo periodo liturgico che chiama tutti i credenti ad una seria preparazione alla Pasqua del Signore, centro della nostra confessione di fede, motivo fondamentale che anima la nostra speranza, cuore pulsante del nostro agire nella carità.

Vorrei semplicemente e brevemente parteciparvi alcuni pensieri che, accanto a tutto quello che in termini di meditazioni e sollecitazioni attingerete per la riflessione nelle vostre comunità parrocchiali e da altri luoghi anche virtuali, spero possano servirvi a crescere nella grata consapevolezza di essere discepoli e discepole del Signore Gesù. Anzitutto grazie per la testimonianza che mi state regalando in questi ultimi mesi del nostro cammino sinodale in comunione con tutte le comunità diocesane della nostra Chiesa Cattolica.

Nel ritmo del nostro passo sinodale, all’avvio della lectio mensile, ho potuto apprezzare di persona, nei rappresentanti delle varie parrocchie insieme ai loro presbiteri, una disposizione attenta e partecipe all’ascolto, espresso successivamente negli interventi appropriati dei presenti, frutto di esperienza credente e umana non scontata.

Ben sappiamo che in questo nostro mondo, da quello famigliare fino al globale, si sperimenta una grave angoscia esistenziale: l’orizzonte delle nostre giornate è delimitato da tragedie inimmaginabili: dall’assurda guerra in Ucraina al recente devastante terremoto al confine tra Turchia e Siria, dal flusso inarrestabile di migranti sulle nostre coste alla crisi energetica, dal lavoro carente all’emigrazione continua dei nostri giovani, dalla violazione dei più elementari diritti umani ai continui episodi di violenza contro le donne fino ai traffici tentacolari del malaffare che impedisce alla sana e onesta economia del nostro territorio di decollare!

Se ci lasciassimo abbacinare dal demone del pessimismo e della rassegnazione fatalista, culturalmente sedimentato nella nostra cultura calabra, rischieremmo di vanificare la nostra fede nel Risorto. Ma proprio in questo periodo quaresimale impegnativo, in forza della resurrezione del Crocifisso verso cui siamo protesi, la serietà della fede si esprime contro ogni deficit di speranza attivando tutte le energie che lo Spirito del Signore non ci fa mancare, perché nessuno si perda d’animo e si lasci andare a deleteri sentimenti di sfiducia.

In verità le luci di bene in questa nostra chiesa reggina e nel suo territorio, sono molto più delle ombre che offuscano e intristiscono i nostri giorni. Solo con occhi di fede e con orecchie del cuore riusciamo a vedere e intercettare i segni di vita bella e le onde benefiche che in modo inarrestabile provengono dal mistero pasquale del Signore Gesù verso cui il tempo di quaresima ci destina.

L’azione capillare della nostra Caritas diocesana o l’azione solidale di tante associazioni del terzo settore così come l’impegno generoso di non poche persone nelle varie amministrazioni civili, sanitarie e militari che governano la nostra vita sociale, ma anche il coraggio di chi ha scommesso con intelligenza e lungimiranza a “restare”, aprendo nuove opportunità di lavoro ai nostri giovani, ci raccontano nel quotidiano storie di vita umanizzante.

Facendo eco a papa Francesco allora, carissimi, non lasciamoci rubare la speranza, non permettiamo ai tanti mali, di cui anche noi siamo responsabili, di mandarci in depressione e immobilizzarci in rassegnazioni sterili e mortifere. Alimentiamo piuttosto e con realismo la speranza facendo appello al buono, al bello e al giusto che accanto a tanti uomini e donne, piccoli e grandi, anche noi con le nostre comunità seminiamo nei solchi delle storie di tante persone in nome e con la forza di Gesù.

Non desistiamo nello spargere il bene e con larghezza, specialmente in questo tempo difficile: non si semina forse in autunno quanto tutto sembra spento? Sia questo un perseverante esercizio sinodale da vivere nel tempo quaresimale: aiutiamoci nell’esercizio del bene, per tenere viva la fiamma della speranza per tutti. Certo, se sono tante le luci, anche piccole, che ci fanno ben sperare, è indubbio che come cristiani, dentro e fuori le nostre comunità, stentiamo a mettere insieme le belle energie, dono dello Spirito, che ciascuno si porta dentro.

Eppure “fare rete”, attivare processi di collaborazione sinergica per noi, membra vive di Cristo, dovrebbe essere “naturale”. La nostra millenaria fede nel Risorto avrebbe dovuto incidere in profondità nella nostra mentalità, nei nostri stili di vita, nelle nostre relazioni, nel nostro sguardo sulla realtà, sul nostro costruire e vivere le città e i paesi rendendoli sempre più accoglienti, godibili. E invece anche dentro le nostre comunità sperimentiamo le piaghe dell’individualismo e del familismo, dei gruppi autoreferenziali e chiusi, del noi-voi, di perimetri amicali esclusivi e d’interesse per pochi.

Perciò, di quale credibilità possiamo godere nella nostra realtà sociale, che pure sperimentiamo frammentata, e in cui si incunea con disinvoltura il malaffare, che dilapida e dissipa le tante energie e competenze, costringendo all’esilio fuori dalla nostra terra intelligenze e risorse che altrove mettono radici buone e danno frutti professionali, culturali e sociali da tutti riconosciuti? Perché tutto questo capitale umano non entra invece a regime nei nostri territori, non crea diffusa mentalità responsabilmente civile e solidarista tale da procurare risultati positivi nei luoghi dove si prendono le decisioni amministrative e politiche, economiche e sanitarie?

Con quale coraggio lamentiamo, e non poche volte a ragione, le dinamiche divisorie e gli interessi di parte nella società civile, se le nostre comunità non brillano per testimonianza di unità e cattolicità, che pur confessiamo come identità credente nel simbolo di fede? E così, se come cittadini, sulla scia luminosa di Gesù, siamo chiamati ad essere luce, lievito e sale, cioè protagonisti e attori nella vita sociale, non possiamo attendere che qualche personaggio di una improbabile provvidenza, chiedendo in cambio il tributo della nostra intelligenza e libertà, risolva i tanti problemi e le criticità che investono la complessità sociale, culturale, economica, politica, ecologica dei nostri territori.

Da noi credenti il Signore si attende per questo nostro mondo, da Lui amato, una risposta costruttiva, creativa, cioè responsabile, anzi corresponsabile, non solo all’interno delle nostre comunità, ma soprattutto nelle dinamiche della quotidiana convivenza sociale. In fondo la “comunione”, quella che viene dall’Alto del Dio di Gesù, sostanza e fondamento evangelico del tanto declamato bene comune, non è forse il segreto stesso del nostro essere Chiesa ma che intercetta il desiderio di ogni persona bisognosa, come tutti noi, di ascolto, accoglienza, attenzione, rispetto, prossimità, cura, in sostanza di sentirsi a casa?

Questo è il cuore dell’annuncio evangelico, cui siamo chiamati continuamente a convertirci e a “battezzare” tutte le genti. Altrimenti, perché la Chiesa? In definitiva, pur nella diversità dei passi, dei ritmi e degli stili, oggi più che mai sentiamo l’urgenza di imparare a camminare insieme, per destare lo stesso stupore della Chiesa agli albori della sua storia perché «la moltitudine di coloro che erano diventati credenti erano un cuor solo e un’anima sola» (At 4,32).

È questo il frutto della Pasqua del Signore, frutto che attendiamo come testimonianza rinnovata e risplendente dal cammino quaresimale di quest’anno. È questa immagine la continua provocazione profetica dell’essere Chiesa, il nostro desiderio, la continua chiamata dal Signore, che si strugge per l’ unità dei Suoi amici: «Io in loro, Padre, e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (Gv 17,23).

È questo sussulto del cuore di Cristo che ci spinge alla partecipazione nei nostri ambienti e di conseguenza nella città degli uomini, dove oggi siamo chiamati come cristiani a fare rete, a mettere insieme competenze e professionalità, a creare cooperazione e sinergia, anche se tutto ciò sembra una chimera.

Il cammino sinodale, che con non poca fatica ma con rinnovata fiducia nell’azione dello Spirito stiamo percorrendo, è una grande opportunità per rompere l’accerchiamento dell’individualismo e di un certo corporativismo che tanto male produce da noi.

Da soli prima o poi si imboccano strade senza uscita, insieme si costruisce nella novità creativa e condivisa. Ecco carissimi, il cammino sinodale ci aiuta a prendere sempre più consapevolezza della nostra identità ecclesiale e della nostra comune chiamata a collaborare con lo Spirito del Signore, che con noi vuole rinnovare «la faccia della terra» e a noi dare slancio missionario facendoci attenti uditori delle gioie e delle ansie, delle incertezze e dei desideri delle persone che incontriamo nel nostro vissuto quotidiano, oggi più complesso, interculturale, interreligioso e interetnico, ma anche sempre più scettico e indifferente, non solo rispetto alla fede ma anche davanti ai grandi temi della vita, almeno nel nostro mondo occidentale.

Il documento sinodale I cantieri di Betania (strada – casa – villaggio) che stanno interessando il nostro cammino ecclesiale, non intendono forse incidere nella carne di queste istanze? Ecco perché è sempre indispensabile metterci in disponibile e costante ascolto della Parola, accogliendoci nella comunicazione delle nostre storie personali sconosciute ai più perfino nell’ambito delle nostre comunità. L’ascolto del Maestro, l’ascolto vissuto e partecipato del Suo Vangelo «ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo» (Evangelii Gaudium, 88).

Ecco carissimi, il mercoledì o il giorno della settimana che avete scelto per l’ascolto condiviso della proposta mensile sinodale, non sia snobbato ma accolto come preziosa occasione dello Spirito che in questo tempo ci parla nella Chiesa.

Vi invito nel periodo quaresimale, per mettere in evidenza la priorità e la preziosità dell’ascolto comunitario e condiviso della Parola nelle nostre comunità, a intensificare momenti di ascolto della Parola, a rendere capillare il metodo della conversazione spirituale, imparando a iniziare abitualmente ogni nostro gesto cristiano con un breve momento di ascolto e di condivisione ed evitando di ridurre la Santa Messa a unica espressione della vita liturgico-formativa della Comunità.

In tal senso, potrebbe essere salutare sospendere un giorno della settimana di Quaresima la celebrazione eucaristica, al fine di riguadagnarne il senso autentico attraverso la meditazione della Parola, la condivisione e l’esito naturale della testimonianza della carità. Nello spirito di rendimento di grazie, auguro a tutti voi un santo e proficuo camino di conversione.

+ Fortunato Morrone
Arcivescovo metropolita di Reggio Calabria – Bova