Le parole chiave sono indubbiamente coerenza e radicalità, due virtù che oggi sembrano scomparire nella testimonianza di vita cristiana. Tutto ruota intorno a un interrogativo ineludibile: quale posto occupa Dio nella tua vita? Cosa rappresenta Lui per te? Quanto la fede nel Signore coincide e influenza le tue scelte di vita, le tue decisioni e azioni? Non mancano infatti oggi persone che, pur dicendosi cristiane e forse anche praticanti, reputano che una cosa è la fede, una cosa è la vita, una cosa le attività all’interno del gruppo parrocchiale e una cosa gli impegni della vita di ogni giorno, esprimendo così la forte dicotomia che si crea tra vita quotidiana e testimonianza cristiana: “santo in chiesa e diavolo in casa”!
Gesù, come al solito, ci propone una logica e uno stile di vita diametralmente apposto, dandoci sempre un esempio. Difatti Egli si pone come il vero Maestro, proprio per la sua capacità di non insegnare solo con le labbra, ma con la vita quanto da Lui ritenuto fondamentale per essere suoi autentici discepoli. Se infatti analizziamo le proposte contenute nel vangelo odierno, esse non possono non sembrarci alquanto esagerate, ma ci sentiamo poi sostenuti e incoraggiati dalla luminosa testimonianza di vita del Signore stesso, che ancora una volta ci ripete: “Ho fatto questo perché ne seguiate l’esempio”.
Il primo insegnamento è quello di un amore prioritario per Lui, un amore che sia antecedente e superiore persino a quelli più naturali, ossia l’amore per il padre e la madre, e persino per i propri figli. Gesù farà comprendere che questo tipo di amore, con il quale sembra rivendicare un primato assoluto su tutto e su tutti, non vuole essere un invito all’anaffettività e all’insensibilità, anzi al contrario: più amiamo Lui, più l’amore per gli altri si sgancia dalla tentazione dell’egoismo, dalla convenienza, dal tornaconto.
Ci chiede poi di prendere la propria croce e di seguirlo. La croce allora diventa non tanto il segno del castigo o della punizione divina, quanto lo strumento di salvezza per la propria e altrui salvezza. Ancora Gesù ci chiede di offrire con generosità la propria vita, sottolineando che stranamente più siamo legati e vorremmo ad ogni costo possedere la vita, più la perdiamo; più siamo disposti a donarla per amore dei fratelli, più la possederemo per sempre, anche al di là della morte. Infine Gesù ci parla di accoglienza e ospitalità, quasi a dire che non si può amare e servire Dio se non siamo disposti ad amare e servire i fratelli. Ma cosa vuol dire Cristo quando ci chiede di accogliere l’altro? Significa innanzitutto riconoscere e giudicare legittime le diversità. Accogliere vuol dire avere la capacità di fare spazio e ospitare chi si trova in disagio, chi ci chiede aiuto, in ogni caso significa innanzitutto aprire il cuore ed accettare con amorevole rispetto chi si trova in una situazione meno fortunata della nostra. Un esempio e una parola come luce in questo nostro impegno. L’esempio: il continuo sbarco di migranti giunti sulle nostre spiagge in fuga dai loro paesi martoriati dalla povertà e dalle guerre, su barconi, definiti “mezzi di fortuna”, ma che non poche volte si sono rivelati poi strumenti di morte. La parola: “Ogni volta che avete fatto queste cose (sfamare, dissetare, vestire, assistere, curare, accogliere) a uno dei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me”. Se poi, per nostra fortuna, chi si rivolge a noi per chiedere accoglienza, pur presentandosi in vesti logore e condizioni trasandate, è un profeta, ossia uno mandato da Dio, o un giusto, ossia uno amato da Dio, anche noi, nonostante le nostre mancanze e infedeltà, avremo la stessa ricompensa riservata dal Signore a queste categorie, e persino un semplice “bicchiere d’acqua fresca” dato con amore, sarà per noi non solo l’occasione per esprimere su questa terra il valore vero delle cose che contano, ma anche il passaporto per entrare nella vita eterna.
Monsignor Giacomo D’Anna