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Il Maestro guarda il cuore

Qual è l’illusione degli scribi, oggetto dell’invettiva di Gesù? Quella di fondare l’esistenza sullo sguardo ammirato degli altri verso la loro vita e non sullo sguardo di Dio o su quello proprio. Se vivi per essere guardato, quando qualcuno non ti guarderà, morirai. E come fai a non curarti di ciò che il Signore può pensare di te? E come puoi perennemente fuggire da te stesso per evitare di ascoltare la voce della coscienza che inevitabilmente ti ricorda la grande menzogna che stai perpetuando? Eppure per gli scribi è più forte il bisogno di ricevere scampoli di gloria mondana, facilmente conseguibile considerato il loro ruolo di guide della vita religiosa e arbitri di quella civile del popolo. «Guardatevi», dice Gesù, ossia non credete alla sincerità del loro cuore, ma anche non pensate di imitarli, perché il rischio maggiore è cercare di risollevarsi da una situazione di minorità assumendo lo stesso stile ingannevole di chi sta in un posto superiore. Quanti poveri, diventati ricchi, hanno fatto peggio dei ricchi e quanti rivoluzionari, giunti al potere, hanno agito più crudelmente dei dittatori! Gli scribi dovrebbero sapere che il Signore è il difensore delle vedove, invece è proprio su queste che si accanisce la loro bramosia, perché approfittano del bisogno di tali svantaggiate per farsi pagare lauti compensi in cambio di consulenze giuridiche.
Il riferimento alle vedove costituisce la parola gancio per introdurre la seconda parte del racconto, la cui protagonista è proprio una vedova al tempio. Si trova di fronte alla sala del tesoro, in cui si aprivano tredici buche per le varie offerte. Secondo l’uso del tempo, il sacerdote doveva dichiarare ad alta voce l’entità del denaro, che veniva introdotto nell’apposita fessura e cadeva nella stanza sottostante attraverso una condotta metallica. Possiamo immaginare lo sguardo compiaciuto di chi versava somme importanti e sentiva risuonare il rumore delle monete lungo la tubazione. Anche qui si cerca lo sguardo dei presenti, ma quello di Gesù si posa su una povera vedeva. Solo Lui la coglie, perché solo Cristo nota il piccolo e quanto di grande si nasconde nel suo cuore. «Due monetine», mentre avrebbe potuto trattenere una, che rappresentano ‘tutta la sua vita’. Anche se altri hanno gettato di più, «hanno gettato parte del loro superfluo»; ella invece ha dato tutto, non ha pensato alla propria sopravvivenza, affidandosi completamente alla Provvidenza di Dio. Il maestro attraverso l’esempio della vedova insegna che non importa la quantità data, ma «conta quanto peso di vita c’è dentro, quanto cuore, quanto di lacrime, di speranza, di fede è dentro due spiccioli» (Ermes Ronchi). La domanda che spesso porta l’uomo ad essere autocentrato è: ‘A me chi ci pensa?’. In mancanza, reale o presunta, di qualcuno che si prenda cura di lei, la gente crede di dover badare prima a se stessa e poi agli altri. La logica di Gesù è opposta e invita chi vuole seguirlo ad anteporre Dio e il prossimo al proprio bene. Ciò suppone l’accettazione di un vuoto momentaneo, perché per poter ricevere da Dio ti devi prima svuotare di ciò che ti appartiene, donandolo. Il problema è che tanti non sopportano i vuoti di beni o di affetti e li riempiono con le prime cianfrusaglie che trovano; la vita è così in balia della confusione o del nulla. Gesù addirittura sulla croce si svuota anche della percezione della presenza del Padre, consegnato com’è all’uomo. Ecco perché la donna è qui figura di Cristo: entrambi si svuotano di tutto e danno la vita. Meglio essere guardati dal Padre con uno sguardo eterno perché nel dono totale della vita ci siamo conformati al Figlio, che essere guardati dagli uomini ma subito dopo dimenticati perché, calati i riflettori di quel momento, siamo caduti nell’oblio. La vedova è anche figura della Chiesa, «una chiesa che nella povertà ha la sua ricchezza, perché solo la povertà genera la libertà e il coraggio con cui donare seguendo il Signore nel dono che dà vita». (Luciano Manicardi). E io quale figura incarno?