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Il Cristo Risorto chiede di essere amato davvero

{module AddThis}In alcuni brani del vangelo di Giovanni sembra difficile trovare il filo logico che ti permette di trovare il senso, a prima vista le frasi messe auna accanto all’altra sembrano non avere nessun legame e la tentazione è quella di staccarle dal contesto riducendo in qualche modo la forza del loro significato. Questo accade in modo particolare dal capitolo 14 in cui il discorso di Gesù ai discepoli, intervalla to da piccoli domande dei discepoli, alcune volte sembra ritornare su sé stesso raggomitolando passato presente e futuro. Se il capitolo 13 di natura ancora narrativa è ben definito nella sua organizzazione, lavanda dei piedi, tradimento, comandamento nuovo e rinnegamento, il capitolo successivo inizia il discorso che da una parte vuole confortare il cuore turbato dei discepoli per quello che è successo, dall’altra vuole illuminare il significato di ciò che sta per succedere.
La strada che indica Gesù è quella della fede, in questa situazione non dice che cosa credere ma a chi credere, l’attenzione va posta quindi non su ciò che è stato detto ma su ciò che Gesù sta per dire e fare. Il bisogno di anticipare quello che sta per avvenire e perché deve avvenire richiede un atteggiamento di fede necessario ad accogliere, ora la parola e in seguito quello che la parola annuncia e promette. Il discorso di Gesù parte dall’obiettivo, dalla meta da raggiungere, la vita eterna, “vado a prepararvi un posto”; promette il suo ritorno e indica la strada. All’obiezione di Tommaso, che giustamente osserva che per conoscere la via bisogna conoscere la meta, Gesù ribatte che in questo caso ci vuole un salto logico, che solo la fede può fare. Se conosci la via e ti fidi di quella via essa ti conduce alla meta, poiché solo la via conosce la meta, non solo, questa via è esclusiva, cioè solo attraverso questa strada si può raggiungere la vita eterna, anzi la conoscenza della via permette di conoscere la meta. Questo è possibile per una verità che è invisibile agli occhi ed è penetrabile solo attraverso la fede.
La fede che Gesù propone e chiede è un atto d’amore, l’unico atto d’amore possibile all’uomo incapace di conosce e amare. Attraverso questa richiesta inizia il secondo momento del brano (14,15-21) che illumina la situazione dei discepoli nel momento in cui Gesù si allontana per preparare un posto nella casa del Padre, quale sarà la loro situazione esistenziale? Questa piccola pericope è incorniciata da due termini che si ripetono all’inizio e alla fine: comandamento e amore. Il discepolo che attende il ritorno di Gesù vive la sua attesa amando, osservando i comandamenti. Ma questo è possibile? È solo un impegno e uno sforzo umano? Tutto quello che contengono i versetti 16-20 risponde a queste domande. La vita del cristiano che attende deve essere una vita di fede-amore, che non deve essere compresa e vissuta solo come uno sforzo umano, ma soprattutto come grazia di Dio che permette questo attraverso il dono dello Spirito. I versetti 16-17 da una parte definiscono la nuova presenza-dono, il paraclito, lo Spirito di verità, dall’altra la sua funzione, sarà sempre con voi, e lo strumento capace di accoglierlo: vedere e conoscere. Abbastanza difficile è l’espressione “Voi lo conoscete, perché dimora presso di voi e sarà in voi”, la frase staccata dal contesto del Vangelo di Giovanni sembra quasi contraddittoria: se “abita presso di voi” perché il secondo verbo è al futuro? Bisogna ricordare semplicemente quello che fino ad ora l’evangelista ci ha comunicato: “Il verbo si fece carne e ha abitato in modo permanente fra noi” (1,14); “Ho visto lo Spirito scendere dal cielo e rimanere su di lui” (1,32). Lo Spirito che rimane su Gesù abita (rimane) presso i discepoli ma attende di essere donato per “essere in voi”. L’espressione “sarà in voi” riferita allo Spirito di verità ci permette di capire il resto della pericope. Gesù non ci lascia soli perché ci dona lo Spirito, attraverso questo dono possiamo continuare a vederlo, non una visione nella carne, infatti il mondo non lo vedrà più, ma una visione legata alla vita e alla conoscenza: “È lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla” (Gv 6,63). Attraverso lo Spirito che dà la vita si diventa capaci di conoscere la verità, cioè che “Io sono nel Padre, voi in me e io in voi”. Tutto questo sarà possibile perché lo “Spirito sarà in voi”. Queste parole che Gesù dice sono fondamentali per l’accoglienza dello Spirito che Gesù sta per dare, “le mie parole son spirito e vita (Gv 6,63). Alla fine della pericope si definisce che l’azione salvifica di Dio richiede un’accoglienza di amore, amore definito dall’osservanza dei suoi comandamenti, dal credere alle sue parole. Nel circolo dell’amore, lo sforzo umano si appoggia sull’amore del Figlio che si dona sulla croce, e apre all’amore finale del Padre, quel posto di cui parlava Gesù all’inizio del capitolo 14, la vita eterna, lo scopo della nostra vita.