Un padre è contento di esporsi così per amore dei figli e desidera che quel giorno tutto sia perfetto; ecco perché si irriterebbe parecchio se diversi invitati rifiutassero senza motivo di prendere parte alle nozze. Stranamente il protagonista della parabola oppone al rifiuto l’insistenza, motivando il rinnovo dell’invito con la spiegazione che «tutto è pronto» perché egli stesso ha imbandito la tavola.
«Ma quelli non se ne curarono». È quanto accade spesso nei confronti di Dio; non c’è una ragione precisa, ma ciascuno ha qualcosa di meglio da fare, andando «chi al proprio campo, chi ai propri affari». Terra e denaro, nutrimento e arricchimento, pancia e occhi: chi non accoglie l’invito di Dio, finisce col dedicarsi a se stesso, a non uscire da una logica autoreferenziale, ignorando che la vera festa di nozze la può indire unicamente il Signore, in quanto solo Lui è veramente Padre e solo Lui ha un Figlio da ‘sistemare’. Poteva scegliere una sposa più degna, invece ha voluto che fossimo noi, non gli angeli, ad unirci carnalmente a Cristo nella Eucaristia, proprio come due sposi. Ciò che l’umanità non comprende è il desiderio appassionato di Dio di unire i figli al Figlio, e l’ira che nella parabola segue il rifiuto, oltre ad avere come referente storico l’assedio di Gerusalemme del 70 d.C., è soprattutto un modo per esprimere l’amore indomito di Dio che non si rassegna alla nostra mancata risposta.
La fedeltà del Signore non viene mai meno e dai molti invitati si passa a «tutti quelli che troverete», reclutati nei «crocicchi», ossia nei punti terminali delle strade, dove non c’è più una via d’uscita, dove tutti i tentativi umani di trovare vita sono falliti e non vi è altra possibilità che confidare nell’aiuto del cielo. Spesso ci rivolgiamo a Dio e aderiamo a Lui solo alla fine, dopo molti inviti, dopo che abbiamo cercato altre strade per raggiungere la nostra pienezza. Nessuno accetterebbe di essere un rimpiazzo, di subentrare solo perché ci si è rotti la testa e ci si è accorti che l’unico a poterla fasciare è il Padre…ma Lui sì, anzi l’ordine di ingresso nella festa che sta per avere inizio è «cattivi e buoni», non il contrario. Ciò può scandalizzare chi ha fatto del merito il criterio della propria esistenza, che per sè non è una logica sbagliata, perché è ovvio che nel consesso umano bisogna premiare chi si è impegnato e sacrificato di più. Tuttavia coloro che non hanno vissuto nell’amore devono sapere che è offerto loro un amore del tutto gratuito, che con la stessa libertà con cui hanno scelto il male sono adesso scelti da questo amore: se non fosse così, il male non potrebbe essere esorcizzato, avendo bisogno per essere sbugiardato di un principio di libertà e gratuità contrario e superiore.
I versetti finali sembrano contraddire il ritratto del cuore paterno accogliente e generoso, poiché viene punito severamente l’invitato «che non indossava l’abito nuziale». Gli esegeti sono concordi nel ritenere che qui sia confluita un’altra parabola, unita alla precedente per il medesimo tema nuziale. Al di là di questi aspetti tecnici, volendo mantenere una lettura d’insieme, come conciliare la bontà con la severità del giudizio? Nei costumi dell’epoca, chi entrava alle nozze riceveva uno scialle, che era la veste per il banchetto, il simbolo di un cuore in festa. Chi ne è privo, evidentemente non ha voluto indossarlo, ha rifiutato di assumere l’habitus richiesto dal Padre, il rivestimento delle virtù evangeliche, preferendo tenersi gli stracci della vecchia esistenza vissuta nel peccato. Perseverare nel male apre poi alla possibilità della dannazione eterna, evocata dalle immagini finali che devono impressionare l’uditorio e scuoterlo affinché scelga la via della vita.
Quando aderiamo all’invito che Dio ci rivolge, scopriamo di essere noi stessi la sposa amata, cercata e perdonata. Ecco perché il cristiano non è mai uno zitello, ma avverte su di sé lo sguardo dell’amore che muove la vita e la rende una festa, nonostante gli errori precedenti e i fallimenti futuri. Annunciamo questa verità a chi non crede più all’amore.