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Il coraggio di essere docili alla volontà di Dio per noi

{module AddThis}O è necessario rispettare la verità delle parole e la forza dell’evento poiché il ritardare toglierebbe la possibilità dell’entrare dentro? La Bibbia ci racconta di episodi simili e ci dà anche qualche luce per dare risposta ai nostri interrogativi. Gli Atti degli Apostoli ci raccontano di Paolo che predica ad Atene, quando inizia a parlare della risurrezione si sente rispondere: «Su questo ti sentiremo un’altra volta» (At 17,32), nel Vangelo di Giovanni, Giuda Iscariota s’indigna davanti al gesto di Maria che cosparge i piedi di Gesù con il profumo di puro nardo e si chiede: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?» (Gv 12,5). Le letture della V domenica di Pasqua di questo anno liturgico rivelano non solo ciò che è essenziale nel messaggio cristiano ma anche la sua urgenza: la vita eterna, la preghiera e il ministero della parola. Forse negli ultimi tempi la Chiesa attenta ai bisogni sociali si è un po’ dimenticata della centralità del Regno di Dio e del suo annuncio ma il Vangelo non perde occasione di ricordarcelo. Nel suo ultimo discorso Gesù si concentra sul significato della sua missione e sul senso ultimo della nostra vita, senza giri di parole, senza anteporre percorsi umani che possono turbare il cuore del credente, invita i discepoli ad avere un atteggiamento di fede che si poggia sulla sua conoscenza della casa del Padre. L’incarnazione, la morte e la risurrezione non esauriscono la missione di Gesù legandola al semplice cambiamento dell’uomo e del mondo ma lo proiettano oltre: «Io vado a prepararvi un posto, quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono anch’io». Quello che Gesù rivela non è un’ipotesi che può allettare qualche disperato deluso dalla vita terrena ma il frutto dell’amore del Padre che nel Figlio vuole realizzare la salvezza e la felicità dell’uomo. Quella ricerca che apriva l’incontro di Gesù con i discepoli del Battista trova sempre più risposta, «Maestro dove abiti?» adesso non chiede solo di «andare e vedere» ma ha bisogno di una via, la via che conduce al Padre: «nessuno viene al Padre, se non per mezzo di me», una via che non è sconosciuta, anzi la conoscenza della via ci ammette alla conoscenza della meta. Questa conoscenza è il risultato di due prerogative, il vedere e il credere, che non possono essere separate. Quando Filippo chiede «Mostraci il Padre e ci basta», Gesù lo invita a fare un percorso di fede. La fede come disposizione dell’uomo alla rivelazione di Dio è una strada ardua da percorrere solo se vista come sforzo umano ma diventa possibile grazie alla rivelazione di Gesù Cristo. Questo patrimonio che gli apostoli hanno ricevuto non può andare perso, è ciò che permette di attraversare lo spazio e il tempo e crea la possibilità di rinascere nella fede. La necessità dell’annuncio non può essere trascurata nemmeno davanti al bisogno, come quello concreto riportato dagli Atti degli apostoli. Questi affrontano il bisogno senza cadere nella tentazione di assolutizzare quello che umanamente sembra più urgente, attenti a rispondere alla richiesta degli ebrei ellenisti, non lasciano i loro compiti ma chiamano nuovi collaboratori. È una risposta che vale come insegnamento per tutte le volte in cui come Chiesa siamo visti o ci vediamo sostituti dello Stato sociale, dimenticando la nostra natura e la nostra priorità: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il sevizio delle mense. Cercate, dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di spirito di saggezza, ai quali affideremo quest’incarico. Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola». Oggi più che mai davanti a quel “sì, ma” che pretende dalla Chiesa un impegno maggiore nel servizio mondano al prossimo, si deve avere il coraggio di aggiungere a questa disponibilità l’annuncio del Regno di Dio che Gesù è andato a preparare.