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I primi due anni di Morrone a Reggio Calabria: «Aiutiamoci a stare al passo di Gesù»

È stata un’occasione per rendere grazie al Signore per il dono del ministero del vescovo Morrone, anche se il presule «non ha voluto solennizzare questa ricorrenza», come ha scritto nel suo messaggio, il vicario generale monsignor Pasqualino Catanese.

«Vivere questo momento insieme, ma nella semplicità» è la volontà che il pastore della Chiesa reggina – bovese ha ribadito anche durante l’omelia di oggi, cogliendo anche l’occasione di rinnovare comunque il proprio «grazie a ciascuno di voi».

Il vescovo ha ringraziato non solo i presenti, ma anche tutti coloro che nelle singole comunità parrocchiali «hanno pregato per me. Vi ringrazio – ancora le sue parole – perché al di là della preghiera formale c’è anche il vostro cuore e il vostro affetto» che, ha aggiunto ancora il vescovo, «sono sicuro, più ci conosceremo, più crescerà nell’amore in Cristo Gesù».

«Quando bacio il Vangelo sono un po’ spiazzato, perché baciare significa adorare. Mi viene in mente il bacio di Giuda, ma con un significato contrario di compromissione. È quasi una premessa previa che io faccio con il Signore, nel senso che lui è compromesso con me. Così come quando benedico nel nome del Signore porto dentro il nostro umano fragile, ma confido in Lui perché Lui ha fiducia di me». È questo uno degli aspetti, ancora Morrone, «che ha accompagnato anche il mio cammino».

Prendendo, poi, spunto dal passo successivo della seconda lettera di San Paolo ai Corinti, non letta però nell’odierna liturgia della Parola, («Paolo dirà: “Io non sono venuto a stare tra voi come padrone della vostra fede”») «qui la fede indica non la confessione sulle labbra, ma l’atteggiamento personale e responsabile del singolo rispetto al venire di Dio nella sua vita e, quindi, una relazione. Per cui l’Apostolo, in questo caso Paolo, ma anche il ministro della Parola, in questo caso io vescovo, ma anche voi presbiteri e ogni cristiano che si accosta e accompagna altri nel nome del Signore, è come l’amico dello sposo che è contento e gioioso nel vedere che finalmente le persone o quella persona accoglie in Gesù il motivo della sua vita».

E dunque Paolo dirà in un altro momento che è anche geloso della «vostra fede, ma non intesa come gelosia, ma perché «promessi al Signore» perché «possano gustare» di Lui. È questo è un bell’aspetto che dobbiamo sempre prendere come una sorta di spina nel fianco. La gioia è proprio questa – ancora Morrone nel riprendere il Salmo («Gustate e vedete com’è buono il Signore») – «condividere la stessa pietanza con altri dopo aver scoperto che era proprio buona».

Cosa dire su questi due anni, ancora Morrone: «sostando tra un momento e l’altro ho fatto mente locale tenendo presenti le “Beatitudini” che sono una sorta di programma di Gesù, l’annuncio del Regno di Dio qui e non domani, segno della presenza costante del Signore. La sostanza delle Beatitudini si trova nella prima: “Beati i poveri!”, beati coloro che, come dice il profeta Sofonia, sono umili, cioè sanno di non bastare a se stessi. E quindi in chi confido? Mi viene in mente un’altra espressione di un grande profeta, Geremia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo” e quindi in fondo in se stesso. Quindi Signore non possiamo che confidare in te. Quindi il “povero in Spirito” è colui che sa di non bastare a se stesso e quindi sa di essere creatura bisognosa che necessita di essere aiutata. Il Signore entra precisamente in questo spazio umano di richiesta d’aiuto». E allora «praticando il ministero episcopale sto imparando a essere discepolo con voi di Gesù», ha detto ancora Morrone citando Sant’Agostino.

Se siamo tutti discepoli del Signore – ha aggiunto – nessuno si faccia chiamare padre o maestro». «L’unico Maestro è il Signore che sta sempre davanti a noi». Certo, ancora il vescovo Morrone, «il Signore costituisce alcuni apostoli, altri profeti, altri catechisti, altri che fanno miracoli, altri ancora che aprono gli occhi o danno speranza come nel caso della nostra Caritas. C’è qualcuno che guida nel nome del Signore, certamente non al posto suo, ma come lui. Ecco, io sto imparando questo, per cui vi chiedo di aiutarmi ad essere per voi vescovo nella sincerità, nella lealtà, nella trasparenza dei rapporti, perché questo ci fa crescere tutti».

«I cristiani camminano insieme, pur rimanendo fermi intorno all’altare» e nonostante «ciascuno abbia la sua storia». Ma «insieme, ha aggiunto Morrone, ci insegna il Signore: “farete grandi cose”. Quindi vi chiedo di aiutarmi o, meglio, aiutiamoci a stare al passo di Gesù». «Questa è la bellezza della Chiesa, della famiglia e quindi del cammino sinodale».

Ecco che le Beatitudini, «così come le vivo io quest’oggi», ha concluso monsignor Morrone, diventano il «vestito su misura» per ogni credente, perché «è l’umanità di Gesù che ci riveste di se stessa». Da qui l’invito: «Dobbiamo abituarci ad abitare le Beatitudini per abitare il nostro tessuto profondo che l’umano di Gesù».