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Gesù nel Giordano, lezione di ineguagliabile umiltà

La prima, secondo la tradizione, fu vissuta da Cristo restando fino a trent’anni circa nella bottega del falegname di Nazareth, sottomesso ai suoi genitori; la seconda costituisce l’inizio del suo ministero pubblico. Questo passaggio è suggellato e ratificato dal Padre, proprio nel Battesimo al fiume Giordano, come ci racconta l’odierno Vangelo, sapientemente trasmessoci dall’evangelista Marco (1,7-11).
Riflettere sul Battesimo di Gesù significa riscoprire e vivere meglio il senso del nostro Battesimo. Innanzitutto una prima caratteristica è che Gesù si presenta spontaneamente dal Battista per farsi immergere anche Lui. Una scelta libera e spontanea, come da sempre la Chiesa ci insegna, non perché Egli avesse bisogno di un Battesimo di purificazione, essendo Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, privo di peccato, anzi, come dirà lo stesso Giovanni: “Egli era l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”. Nonostante ciò, Cristo ha voluto offrire questo ulteriore segno di solidarietà e di amore verso tutto il genere umano, ferito dal peccato originale, segnato cioè dalla colpa dei nostri progenitori. Gesù non fu mai, neppure per un istante, preso da sensi di grandezza o superiorità, e per questo non esitò a metterti in fila con i peccatori, a confondersi con una folla di empi. Fu proprio questo suo non voler minimamente apparire una sorta di “superman” a portarlo a farsi totalmente vicino a tutti gli uomini, non solo a quelli giusti, ma soprattutto ai peccatori. Che lezione di ineguagliabile umiltà e impareggiabile solidarietà, alla quale non possiamo non ispirarci costantemente e instancabilmente, noi sempre più malati di mania di megalomania e di superbia!
Ci colpisce anche l’umiltà che si fa obbedienza nella persona di Giovanni il Battista. Egli sa bene chi è Colui che si inginocchia davanti a lui chiedendo il Battesimo, ma la vera umiltà non è fare quello che è giusto secondo noi, né tanto meno ciò che piace a noi, bensì obbedire. Ecco perché il Battista, nonostante la sua umile confessione, che lo porta ad affermare di non essere “degno neanche di sciogliere i lacci dei suoi sandali”, non oppone per questo un rifiuto, ma obbedisce alla richiesta del Salvatore, autore del vero Battesimo, quello fatto in Spirito Santo e fuoco, e accettando così di dare il suo battesimo amministrato semplicemente con acqua.
Un altro spunto di riflessione, che può certamente servire per la nostra crescita spirituale, è comprendere l’importanza di quella voce dal cielo, nel momento in cui lo Spirito Santo, scende su Gesù in forma come di colomba, e dai cieli “squarciati” si ode proclamare: “Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento”. Una parola che il Padre Dio dice in primis naturalmente per il Figlio suo diletto, ma anche per ognuno di noi, che dal giorno del nostro Battesimo siamo stati costituiti “figli nel Figlio”, figli dello stesso Padre. Davvero a noi piace credere che quella voce è anche per me, per te, per ognuno di noi battezzati: tu sei mio figlio, tu sei mia figlia! Oh sublimità di un simile appellativo! Una parola che ci riempie il cuore di gioia e di commozione quando la sentiamo pronunciare già dai nostri papà o dalle nostre mamme terrene, ma quanto stupore e commozione dovrebbe procurarci il solo pensiero che a rivolgerla è Dio Padre. Quanti momenti di solitudine e di sconforto, quanti momenti di dubbio e depressione viviamo: sono le situazioni durante le quali dobbiamo far riecheggiare dentro il cuore questa parola che il Signore che non si stanca mai di ripetere con paterno affetto e singolare amore a ciascuno di noi: tu sei mio figlio, tu sei mia figlia! Ci sentiremo invadere da un profondo senso di pace e di serenità perché abbiamo creduto e conosciuto l’amore e la misericordia di Dio nostro Padre.