Ecco perché Gesù cerca di confermare e ristabilire la fede dei discepoli con diverse apparizioni. Questa infatti è la terza che avviene sul mare di Tiberiade, un luogo che certamente non è sinonimo di tranquillità e di riposo, ma richiama immediatamente la fatica di un lavoro duro e spesso poco gratificante, e dunque l’incertezza di un futuro poco stabile e soddisfacente anche economicamente. Ma come sempre Gesù va incontro alle incertezze e alle delusioni degli uomini, facendo sempre Lui per primo il passo verso un incontro, che non può non rivelarsi poi fonte di rinnovata gioia e sicurezza per gli altri. Ed è così che il vangelo di questa terza domenica di Pasqua ci parla di un Gesù che ancora “viene per stare insieme”. E viene a sanare la doppia delusione e amarezza presente nel cuore dei pescatori del lago, suoi ex apostoli e collaboratori, delusi e amareggiati per il fallimento registrato nella vita e missione di Gesù di Nazareth, delusi e amareggiati anche per via di quella notte, nella quale non avevano preso nulla, tirando in barca solo le reti vuote.
Gesù si rivolge loro chiamandoli “figlioli”. Quanta tenerezza, quanta compassione, ossia capacità di soffrire con loro, condividere con loro la stessa amarezza e delusione. Ed è lì per chiedere loro da mangiare, e così facendo non solo asseconda e supera la pretesa di Tommaso di vedere e toccare, ma offre una possibilità in più, quella di farsi incontrare con un corpo vero e proprio, e non come avevano creduto lor in un primo momento, un fantasma, un finto redivivo.
Segue il racconto della pesca miracolosa, straordinaria per qualità e quantità, espresso dal fatto che non potevano più tirare su le reti, tanto erano piene di pesci, e dal numero non a caso riportato, di ben 153, ossia il numero delle specie di pesci allora conosciute, quasi a dire che nessuno è escluso dal suo immenso amore.
Finalmente lo riconoscono: “È il Signore!”. Bellissima la reazione di Pietro che non esita a tuffarsi in mare e raggiungere il Maestro a nuoto. Ancora una volta affiora lo slancio del cuore che non perde tempo per andare ad abbracciare e stringere l’amico per eccellenza. Ecco rinascere l’entusiasmo e la gioia nei confronti del Risorto, del quale si era avvertita una struggente mancanza e un incontenibile desiderio di rivederlo.
“Venite a mangiare”. È l’ora della del pasto condiviso insieme, è l’ora della convivialità, un’occasione unica per esprime la gioia di stare insieme come fratelli, la bellezza del sentirsi membri della stessa famiglia, la certezza che c’è sempre qualcuno che aggiunge un posto a tavola anche per me.
Infine la storia del cosiddetto primato di Pietro, ossia il gesto con il quale Gesù affida a Pietro il compito di pascere le pecorelle del suo gregge. In esso la Chiesa vede la volontà di affidare a Pietro e ai suoi successori il ruolo di pastori dell’universale popolo di Dio, per difendere e custodire l’amore, l’unità e l’ortodossia della fede. Un primato che va letto non più nella chiave di autorità, potere e supremazia, ma nella logica dell’amore e del servizio per il bene e la salvezza dei fratelli. Non a caso per ben tre volte Gesù chiede a Pietro: “Mi ami tu più di costoro?”, per sottolineare che per esercitare un compito così alto e oneroso ci vuole una straordinaria misura di amore, un amore così grande che porterà Pietro e molti dei suoi successori a dare la vita, salendo sulla croce e versando il sangue con un martirio non sempre cruento, ma non per questo meno amaro e doloroso, già preannunciato da Gesù con le parole “quando sarei vecchio tenderai le tue mani e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi”.
Il vangelo si conclude con un invito, “Seguimi”, rivolto certamente a Pietro e a quanti come lui oggi nella Chiesa e nel mondo sono disposti ad annunciare e testimoniare con le parole e con la vita che Gesù è il Signore, l’unico Salvatore del mondo.