Per il credente che durante questa settimana desidera non solo assistere, ma entrare e partecipare all’azione salvifica, non è tanto facile trovare la porta d’accesso, la lettura stessa del Vangelo che la liturgia propone richiede non solo una grande attenzione, ma ci invita a non cadere nella tentazione di seguire solo il filo narrativo–comprensivo, ma anche quello esistenziale–spirituale. Uno dei modi migliori è quello di farci condurre da qualcuno che in qualche modo ha sperimentato concretamente i dinamismi della passione. Nel momento in cui l’apostolo Pietro confessa la divinità di Gesù Cristo (Mt 16,16) è chiamato, insieme agli altri discepoli, ad entrare in una nuova logica e a corrispondere all’istanza attraverso la sequela. Questa sequela diventa difficile da accettare quando Gesù annuncia la sua passione e morte, Pietro dopo una prima ribellione si sente dire: «Va dietro di me Satana». Il posto che gli viene assegnato, che oggi viene assegnato a noi è sempre quello dietro Gesù. Anche la passione richiede la sequela, da lì possiamo sperimentare il sacrificio e l’amore di Gesù e nello stesso tempo lo scandalo e la fragilità dell’uomo. Davanti alla «pietra angolare», il tentativo di scartarlo si realizza con Giuda Iscariota che decide di consegnarlo ai sommi sacerdoti. Pur ignorando quello che Giuda ha fatto, Pietro, come gli altri discepoli, inizia a sperimentare la sua fragilità davanti alle parole di Gesù, come gli altri, infatti, ripete: «Sono forse io?». Ascoltando «uno di voi mi tradirà», c’è una possibilità, ma quando Gesù comunica «voi tutti vi scandalizzerete», non c’è più solo una possibilità ma la realtà.
Allora Pietro ancora una volta si ribella: «io non mi scandalizzerò mai», c’è tanta volontà ma anche tanta umana fragilità in quest’affermazione, l’apostolo non sa che la debolezza lo porterà a rinnegare Gesù per ben tre volte.
Il primo tra gli apostoli viene preso insieme ai figli di Zebedeo per condividere più intimamente la difficile offerta di Gesù al Padre. È Gesù stesso che comprende la difficoltà, espressa da una parte dal desiderio di donare la propria vita: «anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò», dall’altra dalla debolezza che diventa l’unica opportunità di partecipazione.
Il buon proposito dell’apostolo di non rinnegare Gesù dura fino all’arresto, in quel momento si dissolve mentre si realizza la profezia: «Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge». Pietro e gli altri discepoli abbandonano Gesù e fuggono dopo che Gesù rifiuta ogni forma di violenza: «Rimetti la spada nel fodero, perché quelli che mettono mano alla spada periranno di spada». Quanta verità in queste parole, ma soprattutto quanta possibilità, il Padre e il Figlio non hanno scelto legioni di angeli, ma dodici uomini, apostoli, per realizzare la salvezza. Non è il potere a realizzare la volontà di Dio ma l’amore mansueto. «Maltrattato si lascio umiliare, e non aprì la bocca, era come agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53,7). Questo tipo di amore Pietro e gli altri discepoli, per ora, non sono capaci di condividerlo. Pietro ha dimenticato le parole che Gesù aveva detto poco prima: «Non vi chiamo più servi, ma amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi (Gv 15,15). Ma quello che ha dimenticato per la sua fragilità gli viene dato come possibilità da “chi conosce questo amore di conoscenza». Una serva gli chiede semplicemente se “era” con Gesù, quanto piccola e semplice è questa domanda, non viene accusato di furto a di omicidio, ma le viene chiesto di dire la verità. Sono piccoli istanti rispetto a quell’ora di veglia, a quell’anno di cammino, a un’intera vita, ma in questi attimi, istanti rubati dall’accusa in cui c’è posto solo per il rinnegare, per negare o affermare che non si è ancora entrati nella «conoscenza tra Padre e Figlio», in questi istanti rubati le parole di Gesù gli restituiscono una nuova possibilità: «Prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte». Solo le parole di Gesù possono aprire una nuova sequela, la sequela del «piangere amaramente», e attraverso questa arrivare, anche se da lontano, sotto la croce, per dire al Signore Gesù: «Vorrei amarti ma non ne sono capace».