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Gesù è presenza viva, sta sempre in mezzo a noi

Lo stesso evangelista parla della risurrezione come una venuta: «Venne Gesù e stette in mezzo a loro». Vediamo di coglierne meglio il significato.
Innanzitutto non ci sfugga l’indicazione «mentre erano chiuse le porte», che per noi credenti non può non essere letta come un invito alla speranza. Erano sì chiuse «le porte del luogo dove si trovavano i discepoli», ma ancor di più erano chiusi i cuori degli stessi amici di Gesù. Le cause di questa chiusura del cuore sono sempre le stesse: paura, timore, dubbio, incertezza, tristezza. Solo il Risorto è capace di entrare in questi cuori chiusi ed induriti e restituire la gioia, la serenità e la pace che tutti desideriamo. Ed è proprio “pace” la prima parola pronunciata da Gesù. Avrebbe potuto dire «salve, salute, buongiorno», e invece dice proprio «shalom», forse perché sa che niente è più necessario di questo dono inestimabile. Lo comprendiamo bene anche noi in quest’ora presente della storia, in cui forti soffiano dall’Est Europa venti di guerra.
«Gesù stette in mezzo a loro». È questa davvero un’esperienza di fede che non ci dovremmo mai stancare di fare. Scoprire e credere che il nostro Dio, il nostro Signore, non sta sopra di noi, nell’alto dei cieli, ma vive in mezzo a noi e resta sempre in mezzo a noi fino alla fine del mondo. Non c’è spazio per la solitudine e la depressione per chi ci crede veramente. Segue poi un segno: «mostrò le mani e il fianco». E alla sola vista i discepoli gioirono. Il Risorto appare loro vivo e vero, bello e sfolgorante più di prima, ma da Lui non sono scomparsi i segni della passione, i segni di quello che Egli ha dovuto soffrire e patire per la nostra salvezza. E sono ancora sotto gli occhi di tutti e addirittura quelli che prima erano stati motivo di tristezza e di dolore, ora sono fonte di gioia e di pace. Questo particolare della storia del Risorto ci invita ad accettate sempre e comunque anche i segni della sofferenza e le ferite del dolore, siano esse quelle nostre, quelle cioè vissute nella nostra carne mortale, siano quelle dei nostri fratelli. Solo accettando e venerando queste nostre piaghe umane, queste ferite d’amore, possiamo come Gesù essere portatori di gioia e di pace ai tanti “poveri Cristi” presenti oggi nel mondo.
Gesù appare, dona pace e manda. Ecco un altro elemento importante: la missione scaturisce dall’incontro con il Risorto. Un mandato, un apostolato, che scaturisce dalla pace, e non è foriero di anatemi e disgrazie, ma annuncio di gioia e di speranza. Ma cosa sono chiamati a portare i discepoli di Cristo Risorto? La risposta è inequivocabile, la misericordia del Signore: «A coloro cui perdonerete i peccati saranno perdonati». Non a caso la Chiesa vede da sempre in questo brano l’istituzione del sacramento della riconciliazione, e da qualche decennio, per volontà di san Giovanni Paolo II, l’occasione per celebrare la “divina misericordia”, da invocare sempre quotidianamente «per noi e per il mondo intero».
E infine il personaggio del giorno, il grande Tommaso, detto “Didimo”, ossia “gemello” di ognuno di noi, che nonostante i segni e i prodigi che il Signore ha operato nella vita di ciascuno, siamo ostinatamente increduli e pretendiamo ad ogni costo di vedere e toccare con mano affinché la nostra fede sia certa e inossidabile. «Mio signore e mio Dio» non esitiamo a ripetere oggi con il cuore. Sia l’espressione della nostra fede e soprattutto del nostro amore verso il Risorto, verso il Vivente che ha vinto il peccato e la morte per donare pace e misericordia, ma anche per costituirci apostoli e testimoni dell’annuncio gioioso della risurrezione, che se creduto e testimoniato con fede e coerenza ci permetterà di «avere la vita eterna nel suo nome».