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Gesù ci insegna a riconoscere qual è la vera ricchezza

L’odierno racconto evangelico ci narra di un “tale”, che Matteo definisce “giovane ricco”, certamente un interlocutore che dimostra per Gesù grande venerazione tanto da prostrarsi davanti a Lui e chiamarlo maestro buono, e particolare ammirazione come per un grande rabbino. Egli pone al Maestro una inquietante e profonda domanda: che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna? Per gli ebrei la vita eterna era la vita dei giusti presso Dio e diceva il senso di tutta la vita presente e futura.
Gesù risponde indicando i comandamenti di Dio, sottolineando così l’importanza di una regola di vita che bandisca ogni atteggiamento anarchico e libertino, e comunque una certa attenzione a qualcosa che non è da considerare privazione della libertà, ma una necessaria norma che ci permette di vivere una vera religiosità e di camminare spediti senza difficoltà e impedimenti sulla via della salvezza. L’esempio dei segnali stradali è sempre un riferimento valido per capire l’importanza delle dieci parole del monte Sinai, che Gesù ha voluto riassumere nell’unico comandamento dell’amore ed esplicitare con le famose beatitudini del discorso elle montagna.
Il discorso non può oggi prescindere dal valutare l’uso delle ricchezze nella nostra vita; non a caso Gesù subito dopo indica il vero stile della sequela cristiana con la lapidaria espressione: “va’ vendi quello che hai e dallo ai poveri!”. Una richiesta veramente esigente e per alcuni addirittura assurda. Ma ci si può liberare del tutto dei propri beni, beneficando i poveri e gli ultimi? Quell’uomo, pur apparendo un uomo giusto, un pio israelita, scrupoloso osservante della legge, non ha dubbi: “non si può”, tant’è che gira le spalle e se ne va. L’evangelista non esita a darci la motivazione: possedeva infatti molti beni. Il tema delle ricchezze è scottante perché mette in gioco le nostre paure e il nostro bisogno di sicurezze per affrontare la vita. Chi vuole seguire Gesù si trova a fare i conti con questo tema. La questione è molto chiara per il Vangelo: i beni tendono ad essere un impedimento per la vita di fede, non aiutano il cammino di santità. Non è detto che siano un male o cattivi in sé; il problema è il rapporto di attaccamento che abbiamo con essi e l’uso che ne facciamo. Alla fine invece di essere un aiuto, sono un laccio. In questo “vendere” sta la liberazione del cuore, da questo distacco nasce la libertà che permette di aprirsi ed accogliere l’invito di Gesù a seguirlo.
È molto importante notare poi che Gesù non dice di lasciare i beni e basta, ma di farli arrivare ai poveri. Lo svuotarsi delle proprie ricchezze si trasformerà in ricchezza per altri, per i poveri. Effettivamente la proposta sempre davvero inaccettabile ed è resa ancora più difficile dall’ipotesi paradossale del cammello che potrebbe passare per la cruna dell’ago. Ma nulla è impossibile a Dio! Allora ci sia sufficiente l’assicurazione che Gesù fa ai discepoli di ieri ed oggi, una grande ricompensa (il centuplo) è data già su questa terra a coloro che lo seguono (insieme a persecuzioni), e poi ciò che resta per sempre, la vita eterna.
Comprendiamo allora che seguire Cristo non è un discorso di sacrifici, ma di moltiplicazione, non è questione di privazione ma di liberazione; è imparare a lasciare tutto, ma per avere tutto. Non per il gusto di un’assurda rinuncia, bensì per la gioia di scaricare tutta la zavorra che appesantisce la nostra vita e ci impedisce di spiccare il volo della vera felicità in questa vita e della salvezza eterna nell’altra.
Chiediamo allora al Signore di saper applicare “la matematica dell’amore dove ciò che si (con)divide si moltiplica per cento” e di “saper depositare nella banca di Dio” il tesoro delle nostre buone azioni, di investire tutta le nostre risorse terrene per una vera capitalizzazione celeste e di impiegare tutti beni di questa terra per un grande profitto in cielo.