Gesù chiede ai discepoli di andare avanti e di precederlo sull’altra riva, finché non abbia congedato la folla. Mi piace sottolineare questo atteggiamento di Gesù che rivela ancora il suo animo pieno di compassione verso la gente. Eppure aveva accontentato tutti, aveva sfamato una moltitudine di gente, si sarebbe potuto sentire più che soddisfatto, e invece sembra non stancarsi mai di fermarsi, di stringere mani, di guardare negli occhi, di distribuire carezze a bambini, vecchi, malati e sofferenti. Uno stile dello stare con, soffrire con, condividere con, che noi non impareremo mai abbastanza.
Seconda scena. Gesù sale sul monte in disparte a pregare. Anche qui un’altra lezione sul primato della preghiera, della spiritualità. Ancora un insegnamento sull’importanza di stare sì con la gente, ma anche con Dio, un invito a non dimenticarci che non possiamo essere solo come Marta, presi e agitati per mille cose, ma neanche solo come la sorella Maria, che sebbene si sia scelta la parte migliore, sembra non vivere la dimensione della contemplattività (Tonino Bello), ossia l’atteggiamento di chi comprende il valore della preghiera, come contemplazione dell’amore di Dio, ma anche quello dell’azione, come servizio ai fratelli.
Ma ritorniamo sulle rive del mare. La barca era molto distante da terra, per di più era agitata dalle onde, a causa del forte vento contrario. Nell’immagine dell’insicura barca, come non riconoscere la vita di ognuno di noi, immersi nel mare di mille difficoltà, e con venti contrari di mille problemi, che non mancano nella vita di nessuno! Fin dai primi secoli i Padri hanno visto in essa l’immagine della Chiesa, sballottolata e sconquassata da venti contrari di bufera per gli innumerevoli attacchi, ieri quelli degli scismi e delle eresie, oggi quelli mediatici che, a differenza dei primi, cercano di distruggerla fin dalle fondamenta, in modo subdolo, come fa un sommergibile che attacca in modo invisibile, di nascosto e in profondità un bersaglio nemico. Gli stessi Padri però affermavano che la Chiesa “fluctuat nec mergitur”, ossia è sì sballottata dalle onde, ma non affonderà mai, perché così ha promesso il suo fondatore, quando ci ha assicurato che “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”.
Gesù, davanti alle difficoltà dei discepoli, aspetta tutta la notte, non interviene subito, sembra assistere impassibile a quell’ora di tormento e paura, fino a quando, alle prime luci dell’alba, non va verso di loro camminando sull’acqua. Ma è ancora tanta la paura e lo sgomento, che i discepoli non riconoscono la presenza di Gesù: forse lo avevano aspettato per ore ed ore, lo avevano chiamato mille volte ad alta voce, gridato con insistenza il suo nome, ma niente, nessuna risposta, nessuna parola da parte sua, come succede molte volte anche a noi quando abbiamo più bisogno, Lui sembra assente, distratto, disinteressato, così che quando finalmente interviene, ci sembra un fantasma, crediamo cioè impossibile che sia davvero Cristo a venire verso di noi, e facciamo fatica a credere che è Lui a prendersi cura di noi senza mai abbandonarci.
Infine la scena di Pietro, il quale, invece di dire: “Signore, finalmente sei venuto”, afferma: “Fammi camminare sulle acque”. Una richiesta veramente insolita, quasi stravagante. Può essere interessante l’interpretazione che oggi alcuni esegeti danno di questo avvenimento, da considerare sì una stranezza, ma anche un ulteriore insegnamento di vita: in situazioni di difficoltà e di emergenza non bisogna arrendersi, fermarsi, ma affrontarle, prenderle quasi di petto, dominarle, quasi camminandoci sopra, calpestandole. Non è forse questo un buon metodo per reagire, evitando di starcene là a leccarci le ferite e piangerci addosso? Pietro viene accontentato e la sua richiesta esaudita, così che comincia a camminare sulle acque, con la normalità di chi lo fa su terra ferma. Ma la sua poca fede non lo fa avanzare, e dopo pochi passi baldanzosi comincia ad affondare immergendosi di nuovo nel mare delle sue negatività. La lezione è chiara e precisa; bisogna fidarci di Dio se vogliamo progredire, andare avanti, bisogna sperare contro ogni speranza: solo così potremo superare tutti i marosi della vita e affrontare i venti contrari delle quotidiane insidie, ma soprattutto potremo giungere al “sospirato lido” della nostra salvezza.
Monsignor Giacomo D’Anna