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Generati dall’amore del Padre

Mentre Gesù esce dall’acqua, dopo che a livello simbolico si è anticipata l’immersione di Cristo nelle morte dell’uomo, in obbedienza alla volontà del Padre, si assiste alla risposta del cielo a tale obbedienza del Figlio, la visione e la voce che consacrano Gesù Servo del Padre e dei fratelli. L’immagine dei cieli che si aprono richiama l’invocazione di Isaia 63,19: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!», come pure l’inizio delle visioni di Ezechiele. Anche il velo del tempio si squarcerà alla morte di Gesù, perché col dono della sua vita la separazione tra cielo e terra, sacro e profano è superata. Il Padre da questo cielo ormai aperto manda lo Spirito, che nel racconto assume la forma della colomba. Oltre al noto simbolismo dello spirito che aleggiava sulle acque alla creazione e della pace tra il cosmo e la terra nel diluvio universale, indicanti entrambi la novità di vita che l’opera di Dio reca in sé, la colomba è una metafora che designa l’amata nel Cantico dei Cantici. La voce dell’Amore enuncia anzitutto un’identità: «Questi è il Figlio mio, l’amato». Gesù è in una relazione unica col Padre, unica nella generazione e nell’appartenenza. La promessa fatta a Davide, «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio», si compie nell’uomo Gesù, affinché in Lui ogni figlio di questo mondo impari a considerarsi figlio del Padre, e non figlio di nessuno. Il possessivo «mio» sigilla questo legame insolubile. Tale senso di appartenenza risulta quanto mai urgente da riscoprire nel tempo odierno, in cui i giovani soffrono terribilmente una crisi di identità, forse anche perché vivono una paternità debole o ferita. La certezza di sapersi generati ogni giorno dall’amore dal Padre porta con sé non solo la gioia di percepirsi, come Gesù, servi di questo Amore dalla estensione universale, sul modello del Servo di Yhwh qui richiamato («Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni»; Isaia 42,1), ma anche la bellezza di poter diventare padri per tanti figli dispersi. Ancora, la voce dell’Amore aggiunge un’altra sfumatura al rapporto Padre-Figlio: «in lui ho posto il mio compiacimento». È il Padre che mentre genera eternamente il Figlio non si stanca di guardarlo e di amare l’opera delle sue mani con infinita tenerezza. Oggi probabilmente tanti si allontanano dalla fede perché non vivono un rapporto affettivo con Dio, considerandolo ancora come giudice distaccato o addirittura impersonale. È da questa intimità cordiale che bisogna ripartire per superare il formalismo di una fede senza anima, che al primo ostacolo crolla. Quando il battesimo di Gesù nella morte per amore diventa anche il nostro battesimo? Per noi i cieli si schiudono quando decidiamo di aprire il cuore all’Amore. Se ci mettiamo in ascolto con Gesù della voce del Padre, scopriremo la nostra vera identità di figli e potremo regalare agli uomini questa suprema verità del loro essere, quale apporto originale e insostituibile del cristiano al mondo di oggi. Noi possiamo iniziare qualcosa di sensato nella vita solo dopo aver fatto un’esperienza profonda della paternità di Dio. Se non sperimento questo, rischio di chiedere vita a qualcun altro e a qualcos’altro, non al Signore. A chi chiedo vita? Nessuno è principio di vita a se stesso, ma deve chiederla a qualcun altro. Se cerco vita nell’uomo, riceverò forse comprensione, affetto, ecc., ma non la vita che non muore, di cui il mio cuore ha bisogno. L’uomo può darti solo ciò che è mortale; Dio invece ti dà la vita immortale. Oggi la gente non chiede più a Dio vita, chiede a tutti e non a Lui. E il Signore che fa? Continua a dare, a benedire, a far piovere dall’alto, a seminare, anche se sa che gran parte di questo dono andrà perduta e nessuno se ne accorgerà. Se tu perdi un’occasione, Dio comunque te ne offre subito un’altra perché è un Padre che ama ricominciare sempre e ama ciascuno dei suoi figli come quel giorno al Giordano ha amato Gesù, tanto da gridare dal cielo tutta la sua tenerezza.