Anzitutto non ci sfugga la prima frase: “Non temere piccolo gregge”. Quanto bisogno abbiamo di sentirci dire da parte di Dio e di chi ci sta accanto: non temere, non ti preoccupare, coraggio vai avanti, io sarò con te, non sei solo. Sono tutte espressioni per nulla scontate e che purtroppo raramente ascoltiamo, persino dalle persone che lo dovrebbero fare spontaneamente per affetto o per missione; anche noi raramente sappiamo ripeterle a quanti il Signore mette sul nostro cammino. Eppure basterebbe questa parola così semplice ma toccante, “non temere”, per rendere il nostro fardello meno pesante. E poi quell’aggettivo “piccolo” riferito al gregge del Signore. Sembrerebbe un termine che sminuisce, impoverisce noi che non poche volte siamo affetti della mania di grandezza, dal delirio dell’onnipotenza. Gesù ci definisce “piccolo gregge” per ricordarci che la vita cristiana non è sempre rose e fiori, che seguire Lui non è per nulla una cosa semplice e scontata, per sottolineare che per essere gregge (ossia fare Chiesa, formare comunità) ci vuole fatica e sacrificio. Avvertiamo in quel “piccolo” tutta la tenerezza e l’amore che il Signore ha per il gregge. Come non pensare a una mamma che chiama il suo bambino, anche quando è ormai cresciuto, “piccolo mio”, e quante volte tra persone che sia amano si usano espressioni come piccolo, cucciolo, ecc., termini che certamente non sono usati per disprezzare o sminuire, ma per esprimere dolcezza, premura e delicatezza, slanci di un cuore che sa amare e prendersi cura dell’altro.
E poi una bella verità che Gesù proclama con estrema chiarezza: “Al Padre vostro è piaciuto dare a voi il suo regno”. Ne consegue che per i discepoli del Signore non serve più nulla, tutto è superfluo e inutile, per cui non possono fare altro che vendere ciò che possiedono e darlo in elemosina, nella certezza di avere già di sicuro un tesoro nel cielo.
Segue la nota parabola che invita tutti alla vigilanza, per cui è necessario essere pronti e svegli per attendere la venuta del Signore, usare il tempo dell’attesa per amare e rispettare tutti, tenere sempre fisso lo sguardo sulla meta verso la quale tendiamo.
“Dov’è il tuo tesoro là sarà anche il tuo cuore”. Come non domandarsi dove è il mio tesoro? In che cosa cioè consiste la mia felicità? Un cristiano non dovrebbe avere altra risposta che in Gesù. Ma chi di noi, con un minimo di coscienza e senso di verità, può affermarlo con certezza?
“Fianchi cinti e lampade accese”. Bisogna prepararsi, attrezzarsi bene per l’incontro definitivo con il Signore. Per farlo bisognerebbe provvedere a questi due segni, che ci ricordano che su questa terra siamo pellegrini, uomini in cammino, sempre protesi verso il cielo e che le nostre lampade non possono essere spente dalle debolezze umane, ma sempre accese e brillanti per mezzo delle buone opere.
L’ultima immagine che il vangelo oggi ci lascia è quella di una sorte ribaltata: se abbiamo veramente amato e servito Dio e i fratelli su questa terra, saremo un giorno alla grande festa, al gioioso banchetto, alle nozze eterne del cielo. Ciò che è più sconvolgente, è il fatto che Dio sarà nostro servitore, sarà Lui a cingersi i fianchi come un qualsiasi servo, ci farà mettere a tavola come ospiti d’onore e passerà a servirci come l’ultimo degli inservienti. Questa è la vita eterna, non il lugubre pensiero della morte, che tutto distrugge, annienta e rovina, ma la gioia e la festa senza eguali, che per di più non finisce mai.