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Fede non è credere ai fantasmi

C’è bisogno della pace dell’anima per sopravvivere alla visione della morte, che ti rimane attaccata addosso finché non sei investito da una presenza nuova. La pace, infatti, è legata alla stabilità della sua presenza in mezzo a noi e tutte le volte che ci sentiamo smarriti è perché abbiamo perso di vista il Risorto. La cosa strana, però, è che questo non provoca gioia nei discepoli, anzi sono «sconvolti e pieni di paura». Perché? «Credevano di vedere un fantasma». E chi può biasimarli? Certo, di fronte alla morte di una persona cara nasce dentro di noi un forte desiderio di poterla rivedere anche solo per poco tempo, il tempo di un abbraccio, di un ‘ti voglio bene’, il tempo di sapere se è contenta di noi, di sapere se sta bene. Ma se davvero questo desiderio si avverasse, molto probabilmente la nostra prima reazione sarebbe come quella dei discepoli: tutto ciò che non riusciamo a comprendere ed è fuori dal nostro controllo, ci intimorisce. Vogliamo tutto e il contrario di tutto! Gesù, allora, offre loro parole e segni perché superino turbamenti e dubbi. Alla domanda che li porta a guardare lo smarrimento del loro cuore, segue l’invito ad orientare lo sguardo verso le sue mani e i piedi. Forse il riferimento ai piedi, rispetto alle mani e al costato offerti alla vista di Tommaso, fa presagire la necessità di un cammino che in quanto testimoni essi dovranno presto percorrere sulle strade del mondo. «Per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore»; il risultato è ancora lo stesso: non credono. Certo che siamo proprio strani… ‘è troppo bello per essere vero… chissà cosa c’è dietro, di sicuro è solo un’illusione e le illusioni portano soltanto profonde delusioni’. Questo è il meccanismo che scatta: preferiamo non sperare in qualcosa di troppo grande perché abbiamo paura che se poi non si avvera la delusione sarebbe troppo pesante da sopportare. Ma Gesù non ci sta, persiste, non si arrende di fronte alle nostre chiusure e chiede qualcosa da mangiare. «Non a visioni d’angeli, non a una teofania gloriosa, gli apostoli si arrendono ad una porzione di pesce arrostito, al più familiare dei segni, al più umano dei bisogni». Il pesce ricorda le tante pesche condivise insieme e quelle miracolose nei giorni non lontani della Galilea, tempi e luoghi in cui si celebrava una familiarità che la consumazione del pasto evoca fortemente. Gesù, col chiedere di vedere, toccare e mangiare, offre una grande dimostrazione di realismo, come a dirci che la fede, se non entra nei gesti più ordinari della vita, rimane una vaga idea di Dio. Siamo invece chiamati a passare dall’idea di Dio alla esperienza di Lui. Come avviene questo? Il maestro insegna un metodo certo, quello di cercare nelle Scritture le tracce di una storia d’amore che si compie nella sua Pasqua e aspira a compiersi anche nella nostra vita. Egli «aprì loro la mente per comprendere» l’annuncio che la sua morte e risurrezione inauguravano un modo nuovo di vivere la sfida di tutti i tempi, ossia cambiare il mondo e la nostra stessa esistenza. Lo stile di Cristo e le sue armi non sono la forza e il dominio, ma l’amore. L’evangelista, per indicare tale apertura della mente, usa un verbo spesso ricorrente nei racconti di miracoli, perché aprire la mente, uscire dal proprio schema per accogliere il dono della vita in Cristo, richiede una vera e propria guarigione dalla paura dei fantasmi, soprattutto quello dell’idea di un Dio che, poiché non è di carne e sangue come me (distorsione mentale che Gesù smentisce!) non mi può capire. Quindi «non è sufficiente toccare il corpo del Risorto: Cristo deve essere incontrato nel corpo scritturistico e allora nasce la fede pasquale che lo confessa quale realizzatore del disegno di salvezza del Padre» (Luciano Manicardi). Non importa quanto grandi sono le tue lacune, non importa quanto poco riesci a capire; Lui agirà in te, la tua vita non sarà più la stessa, tutto acquisterà un orientamento nuovo e niente sarà così assurdo da non trovare in Lui un senso. Di tutto questo potrai essere testimone, in particolare della necessità di convertirsi per accogliere il perdono dei peccati e vivere da risorti.