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Essere discepoli: il primato della preghiera

È molto significativo il fatto che i discepoli chiedano non tanto cose materiali e norme precise di comportamento, ma si interessino dell’arte del pregare. Eppure, come tutti i buoni ebrei, certamente anche i discepoli sapevano pregare in qualche modo; anzi alcuni tra loro erano stati seguaci di Giovanni Battista e quindi aveva imparato a pregare. Tuttavia di sicuro i discepoli del nuovo rabbi avevano notato un modo diverso di accostarsi alla preghiera, soprattutto nell’atteggiamento che lo portava a ritirarsi da solo a pregare nella notte. A differenza della preghiera rumorosa e agitata degli scribi e dei farisei, la preghiera del Maestro era silenziosa, raccolta, appartata; quella ebraica era soprattutto comunitaria e pubblica (ad esempio, accanto al muro del pianto a Gerusalemme gli ebrei si riuniscono ancora oggi a pregare in numero di almeno dieci uomini, recitano preghiere ad alta voce, con movimenti ritmici del busto, hanno le spalle ricoperte di sacri mantelli e i filatteri sulle mani e sulle braccia). Com’era diverso l’atteggiamento di Gesù, certamente meno plateale, ostentato e appariscente! Gesù non dà tecniche di meditazione, non comunica regole di spiritualità; ci insegna il Padre nostro, non tanto come testo da memorizzare e ripetere nelle diverse circostanze della vita, ma come stile di vita da incarnare.

Sul Padre nostro, definito il compendio della vita cristiana, il vangelo tascabile, la sintesi del messaggio evangelico, sono stati scritti volumi e volumi e certamente ancora molto si potrebbe dire, specialmente se si intende analizzare ed interpretare le varie richieste in esso contenute. A noi basti soffermarci sul significato della preghiera e soprattutto sul modus vivendi da esso scaturito per una spiritualità cristiana seria e credibile.

Già il titolo Padre sarà suonato strano e originale, eppure è così primordiale e familiare! Gli ebrei già sapevano che non era possibile nominare il nome di Dio, e che Egli anche nella preghiera restava particolarmente lontano e inaccessibile, poiché Yhwh è il Signore degli eserciti, il Dio dell’impossibile, l’eterno, il sovrano, l’eccelso, ecc. Gesù invece vuole rivelare il volto vero di Dio, che è essenzialmente un padre che supera in assoluto ogni altra paternità, come dirà Lui stesso nel brano odierno: “se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a quelli che glie lo chiedono”. Dunque non più un tiranno, un padrone prepotente, un giustiziere pronto più a colpire e punire che a compatire e perdonare. Con tristezza non possiamo negare che anche noi in fondo ci portiamo dietro il retaggio di un’educazione cristiana alquanto distorta e sbagliata, se pensiamo a quante volte ci siamo sentiti dire da bambini “se fai così il Signore ti punisce; se sbagli Dio ti castiga”.

Ma a che serve pregare se Dio può tutto e sa di che cosa abbiamo bisogno? E che serve perdere tempo dietro la preghiera quando ci sono tante opere buone da svolgere? Mi viene in mente l’atavica diatriba tra quale consacrazione è più utile, se quella della vita apostolica e missionaria o quella della vita contemplativa o claustrale.

Il vangelo di oggi, indicandoci il primato della preghiera, vuole insegnarci che essa è primo di tutto scuola di fede, perché pregando impariamo a riconoscere la presenza e la potenza di Dio, senza del quale non possiamo far nulla; esercizio della speranza, perché ci insegna ad attendere, certi che Dio sa di che cosa abbiamo bisogno ancor prima che glielo chiediamo e che nulla è impossibile a Lui; palestra di umiltà, perché ci educa a non volere ad ogni costo prendere il posto di Dio e a convincerci che, nonostante le nostre capacità e risorse, senza Dio siamo sempre essere poveri, limitati e impotenti; infine impegno di purificazione dei nostri bisogni, che ci permette di chiedere a Dio non cose superflue e a volte ridicole, ma solo cose giuste e sante che ci danno la vera felicità.