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«Effatà», Gesù ci insegna ad aprire il nostro cuore

Gesù, dopo ogni insegnamento, non esita a dimostrare con i fatti quanto proclamato con la bocca, sicché “la gente restava stupita del suo insegnamento poiché egli insegnava loro con autorità e non come i loro scribi”.
La scena si svolge in un territorio totalmente pagano. Siamo nella Decapodi, una regione di dieci città nel sud-est della Galilea. Gesù compie la sua missione come una sorta di visita pastorale in vari territori fuori dalla sua patria. Eppure, nonostante questo, la sua fama si era diffusa anche là, poiché tutti gli abitanti del luogo sanno che Egli può guarire i malati.
Ed ecco che qualcuno gli porta un sordomuto e intercede per lui, prega Cristo affinché gli imponga le mani e lo risani. In quel tempo c’erano moltissimi infermi: come mai Gesù, dopo essere entrato in polemica ed aver affrontato duramente gli ebrei osservanti, guarisce proprio un sordomuto? La risposta la troviamo in un vecchio proverbio: “Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”. Spesso ascoltiamo solo le cose che ci piacciono, alzando a tutto volume l’audio quando si tratta di ascoltare messaggi scomodi che disturbano la nostra coscienza distratta o peggio addormentata. Gesù guarisce quel sordomuto grazie all’intervento di alcuni che credono nella sua potenza e senza vergogna si rivolgono a lui affinché possa venire in soccorso di quell’amico in difficoltà. Quanti fratelli e sorelle possono godere della presenza di amore di Cristo, favorita da gente che ci crede e che facilità l’incontro con Lui! La nostra fede infatti è un dono personale e aumenta donandola agli altri.
Vi sono poi dei particolari che Marco riesce a descrivere con poche parole. Registriamo la squisita delicatezza di Gesù nel riservare a al sordomuto tutta l’attenzione e la cura, restituendogli l’udito, la parola ma soprattutto il cuore, che da quel momento in avanti si sarà certamente aperto alla fede e all’amore per il Signore.
La parola aramaica “Effatà”, pronunciata da Cristo al momento della guarigione, dice la familiarità che Egli vuole istaurare con il guarito, quasi per dirgli che adesso sono di casa, non più stranieri e forestieri, ma fratelli e amici. “Effatà”, ossia “apriti”. Non possiamo non ricordare il gesto liturgico che il sacerdote fa nella celebrazione del sacramento del battesimo quando, toccando le labbra e le orecchie del catecumeno, gli augura di aprire presto le orecchie all’ascolto della Parola del Dio e le labbra all’annuncio del Vangelo nella vita di ogni giorno.
“Effatà, parola che risuona anche per noi oggi, sempre più incapaci di essere fedeli al principale impegno di ogni battezzato, per cui sono numerose le volte in cui non sappiamo aprire il cuore e la mente all’insegnamento d’amore lasciatoci da Gesù, facendoci sempre più sordi agli innumerevoli appelli di vicinanza e di tenerezza provenienti da ogni parte del mondo, ma anche da molti fratelli “della porta accanto”, forse senza molti problemi economici, ma non per questo bisognosi di prossimità e attenzioni.
Il vangelo odierno si conclude con un’affermazione messa sulle labbra dei presenti, pieni di stupore per la potenza taumaturgica del nuovo rabbi: “Ha fatto bene ogni cosa”. Ancora una volta l’intento primordiale dell’evangelista Marco affiora con chiarezza lampante; per lui ciò che conta è portare i cristiani di ieri e di oggi a credere nel vangelo e a riconoscere Gesù come l’unico Signore e Salvatore. Accogliamo questa sua santa provocazione e con tutto il cuore in ogni circostanza della vita diciamo con fede: “Davvero il Signore ha fatto bene ogni cosa”.