Il presbitero reggino don Valerio Chiovaro è fidei donum a Gerusalemme per la diocesi di Reggio – Bova dove guida Casa Kerigma. Nel suo racconto, condivide l’esperienza che lo vede, da circa due anni, nella città del Signore.
Ascolta l’episodio di oggi del Podcast Good Morning Calabria con don Valerio Chiovaro
Don Valerio e la missione di Casa Kerigma
Nella terra che ha visto le origini della fede cristiana, tra le strade di Gerusalemme, pulsa un luogo dove la Parola si fa incontro e speranza: Casa Kerigma. È qui che, nella città dove il sacro e il quotidiano si intrecciano, don Valerio Chiovaro svolge la sua missione come sacerdote Fidei Donum, per l’arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova.
In un contesto complesso, segnato da tensioni e conflitti, Casa Kerigma accoglie, consola e offre una nuova opportunità di rinascita spirituale e umana, anche grazie al sostegno di chi, pur da lontano, anche grazie al sostegno di chi, pur da lontano, contribuisce a costruire un ponte di amore e solidarietà.
Perché hai deciso di intraprendere la missione come Fidei Donum in Terra Santa?
Il mio sacerdozio ha avuto una svolta decisiva quando, da giovanissimo, venni a studiare a Gerusalemme. Capii che la Parola di Dio era concreta. Se ne poteva sentire l’odore, percepire il sudore. Grondava sangue e provocava sorrisi. Avvertii chiaramente che senza l’esperienza di incarnazione vissuta in questa Terra, non avrei potuto capire e quindi annunciare questa Parola fatta Carne. Sono tornato a Gerusalemme per permettere a tanti altri – specialmente ai miei confratelli sacerdoti – di vivere questa esperienza. Così, mettendomi a servizio della Chiesa locale, sto cercando di creare gli strumenti perché tanti possano diventare Carne di quella Parola.
Che significato ha per te portare avanti la missione a Casa Kerigma, vero “ospedale dell’anima” soprattutto in un contesto complesso come Gerusalemme?
Casa Kerigma è un servizio che la Chiesa Madre di Gerusalemme ha fatto proprio, ma è anche un luogo dove incontrare la Chiesa Locale. La Chiesa locale è ricca e complessa. Difficile da comprendere, un altro mondo rispetto alle nostre diocesi. C’è tutto in poco. È una Chiesa minoritaria, è ricca di religiosi e religiose “di tutte le specie”. Obbliga all’ecumenismo, è in continuo dialogo interreligioso… Parla tutte le lingue del mondo. È veramente una Pentecoste.
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Attraverso questa complessità ci si educa alla complessità della vita, delle relazioni, del Maestro morente che promette il Consolatore. Ci si educa a morire a una vita scontata, facile. È una condizione scomoda che vince l’abitudine delle nostre piccole visioni.
La situazione attuale di conflitto in Terra Santa ha influenzato le attività di Casa Kerigma?
Indubbiamente: dall’Europa non arrivano coloro che “abitavano” Casa Kerigma. Ma il progetto si è subito “piegato” ad altre presenze: coloro che, stranieri, risiedono a Gerusalemme. In particolare i sacerdoti studenti, i volontari, gli studenti universitari, i lavoratori… E poi, insieme al Patriarca, è cominciata una lunga riflessione sul tema della Consolazione. Ci si prepara a ricostruire le relazioni che, terminata la guerra, rimarranno profondamente ferite.
Che ruolo hanno le donazioni e come chiunque può contribuire a sostenere questo progetto?
La diocesi di Gerusalemme ha dato un ampio appartamento che stiamo rendendo funzionale a Casa Kerigma. Ovviamente questo ha un costo. Ristrutturare una casa è costruire un luogo di speranza, di prossimità. Non basta la mia presenza; senza questi strumenti (che hanno un costo) la nostra opera sarebbe impossibile e senza donazioni non ci possono essere questi strumenti. Strumenti che comunque, anche quando non ci saremo più, rimarranno alla Chiesa di Gerusalemme. Tra l’altro, è anche un modo per aiutare i cristiani locali: abbiamo commissionato i lavori a una piccola impresa di cristiani di Betlemme. Per loro è stata una boccata di ossigeno. Per sostenere questo progetto si può contribuire attraverso le donazioni.
Qual è il tuo messaggio a coloro che desiderano visitare Gerusalemme e toccare con mano la realtà di Casa Kerigma e della comunità cristiana locale?
Penso che questo sia il momento più opportuno: vivere accanto a tanta sofferenza, comprendere quanto possa scavare la paura di questi popoli, perfino toccare con mano la rabbia che nasce dalla precarietà, tutto questo crea il contesto per comprendere la specificità del nostro essere cristiani.
Poi, conoscere la Chiesa locale dà una lettura più completa della Chiesa universale e anche delle nostre diocesi. Una permanenza a Gerusalemme ci schioderà dalle nostre visioni scontate, forse ci inchioderà alla croce di tanta sofferenza. Infatti, qui si incontra il lutto e si affronta il lutto del morire a sé stessi, poi la Resurrezione e il dono del Consolatore. Casa Kerigma è una casa che educa anche a questo e che favorisce l’esperienza della consolazione e da qui la capacità di consolare.
L’articolo Don Valerio Chiovaro e Casa Kerigma: un Ponte di Pace e Speranza in Terra Santa proviene da Avvenire di Calabria.