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Discepoli paurosi e chiusi: Gesù si avvicina e dialoga

emmaus

Gesù risorto che si accosta ai suoi discepoli, fa un pezzo di strada con loro “fa un po’ di compagnia”, ma sicuramente non cerca di distrarli. Entra nei loro discorsi e illumina il loro cammino. Gli chiede di capire la sofferenza attraverso la risurrezione e la risurrezione attraverso la sofferenza, sembra, infatti che queste due cose non possono essere staccate e si rimandano continuamente a vicenda. Certamente questo non è solo un modo di dire, cristallizzato come verità assoluta che così formulata deve essere accettata, né un presupposto filosofico che apre la strada alla discussione, ma il modo di agire di Dio che così si è raccontato e così vuole essere raccontato. Ed è proprio bello che siano necessari tre punti diversi e tre modi diversi di raccontare la stessa cosa.

Da una parte il vangelo in cui la narrazione ha la parte dominante, dall’altra la lettera di Pietro dove prevale l’argomentazione, in mezzo gli Atti degli Apostoli dove Luca e Pietro s’incontrano, dove racconti e discorsi si uniscono. Ma è la strada il luogo dove i passi dell’uomo e di Dio s’incrociano, lì dove l’uomo cammina verso qualcuno e discorre di qualcosa. L’espressione che Luca usa per introdurre Gesù nella scena dovrebbe diventare la cornice e lo sfondo di ogni vita umana: «Nel loro conversare e cercare insieme, lo stesso Gesù essendosi avvicinato camminava con loro».
Ciò che colpisce è la delicatezza di Dio che in Cristo entra nella nostra ricerca, avvicinandosi senza toccare, e cammina con noi. «Ma i loro occhi erano trattenuti dal riconoscerlo», in questo caso il narratore ci parla degli occhi che subiscono un’azione, qualcuno impedisce loro non di vedere ma di riconoscere, in questo modo, tacendo il complemento d’agente, chiede al lettore di ricercare i suoi impedimenti fino a quando non saranno svelati. Non saranno svelati dalla presenza di Gesù che prima ascolta e poi con la sua parola apre il cuore e gli occhi. La domanda di Gesù permette al narratore di svelare in parte la causa che impedisce di vedere: «E si fermarono tristi». Ma questa tristezza da cosa dipende? Le parole dei due discepoli iniziano a chiarire: «Noi speravamo che fosse lui quello che avrebbe liberato Israele»; «Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».

Rimproverano Gesù di essere stato pellegrino a Gerusalemme e di non conoscere i fatti, ma in realtà sono loro che non sono capaci di comprendere perché le cose siano andate in questo modo. Una conoscenza che non deriva da una semplice costatazione, ma che richiede la fede, in questo caso una fede che viene dal cuore e che poggia sulle parole dei profeti, parole che avevano annunciato la necessità della sofferenza di Cristo per entrare nella gloria. L’evangelista sintetizza il discorso, quasi volendo nascondere al lettore le parole concrete che Gesù usa, sottolineando, invece come solo Lui può aprire alla conoscenza delle scritture, poiché esse si riferiscono a lui ed è lui a compierle. Questa presenza di Gesù è la vera “compagnia” di cui l’uomo ha bisogno nel suo viaggio, purtroppo molte volte se ne accorge quando il giorno ormai declina, ma per fortuna coglie il pericolo di restare senza Gesù e dice semplicemente: “Resta con noi”. Il narratore anticipa, e nello stesso tempo aiuta il lettore a leggere quello che avverrà dopo: «Egli entro per rimanere con loro» . Quella che potrebbe sembrare una progressione narrativa è in realtà il dono più bello che oggi possiamo celebrare: «Quando fu a tavola con loro prese il pane benedisse e avendo spezzato il pane lo diede loro».

Ecco il luogo dove Gesù entra per rimanere, dove ci dà la possibilità di riconoscerlo, dove i nostri occhi si aprono, anzi in questo caso è Gesù ad aprire gli occhi dei discepoli. Anche in questo caso, infatti, il verbo è al passivo ma questa volta è facile per il lettore comprendere chi o e che cosa ha compiuto l’azione. Un’azione che Gesù ha iniziato nel momento in cui si è avvicinato, ha proseguito quando ha aperto ai discepoli le scritture. Sì, proprio così, il verbo che l’evangelista usa per le scritture è lo stesso che usa per gli occhi: dianoìgō, spalanco, apro completamente per far nascere. Aprendo loro le scritture accende il cuore che all’inizio era insensato, lento. Quando il cuore è pronto e capace di comprendere, allora si aprono gli occhi ed è possibile riconoscere Gesù, allora Lui può diventare invisibile (non mostrarsi più). La parte finale che a prima vista sembra solo la conclusione narrativa del racconto, in realtà aggiunge al brano un valore ecclesiale, i discepoli, infatti, ritornando a Gerusalemme, incontrando gli altri discepoli che hanno visto il Risorto e raccontando la loro testimonianza costituiscono la prima comunità primitiva che inizia in cui si può incontrare colui che “è venuto per rimanere”.