L’autore raccontando il riconoscimento di Davide come re d’Israele da parte degli anziani sottolinea tre cose riguardo la sua regalità: il legame di appartenenza, “Ecco noi ci consideriamo tue ossa e tua carne”; l’esperienza di sentirsi guidato, “Tu conducevi e riconducevi Israele”; la necessità di un nutrimento, “Tu pascerai Israele mio popolo”. L’alleanza che viene stabilita non è fondata sulla forza, sul potere, sui soldi, ma su un legame di amicizia in cui le tribù riconoscono in Davide colui che Dio ha costituito a favore del suo popolo con delle caratteristiche ben precise. La regalità di Dio e la sua signoria si manifestano in modo pieno, e in un certo senso nuovo, in Gesù Cristo, una regalità che è stata riconosciuta dai Magi che attraverso i loro doni hanno reso omaggio alla fragilità della natura umana di un bambino e attraverso questa, la possibilità di andare oltre. Una regalità annunciata e preparata da Giovanni Battista che riconosce la differenza di dignità tra lui e il Messia. Una signoria che diventa azione concreta quando Gesù inizia il suo ministero pubblico e dice: “Convertitevi e credete al vangelo, perché il regno di Dio è vicino”. Sì, è proprio vero, il regno si è fatto prossimo, si è fatto guardare, si è fatto toccare, ma soprattutto ha parlato e operato. Attraverso la potenza dei miracoli e dei prodigi si è rivelato re Messia secondo le promesse fatte a Davide. Il potere del suo agire ha dato autorità alle sue parole e la sua parola è stata così potente da realizzare ciò che aveva detto, è stato il re pastore che ha cercato la pecora smarrita e ha guidato il suo gregge su pascoli erbosi (cfr Is 40,11; Sl 23).
Ma quando tutto sembrava pronto, il popolo aspettava dal suo re il cibo, il nutrimento per cui l’aveva osannato al suo ingresso nella città santa, proprio in quel momento ciò che doveva dare vita si è consegnato alla morte, la vita di Cristo termina sulla croce. È un fallimento? Per chi lo aveva seguito, ma non è presente sotto la croce, forse sì. Lo ha ammirato, lo ha seguito, ha pensato di condividere con lui un sogno lasciando tutto, ma lì e in quel momento il sogno sembra finito, ha trionfato ancora una volta l’ingiustizia, che continua a regnare nel mondo. Possiamo essere dispiaciuti ma è un fatto. C’era qualcuno sotto la croce, ancora una volta il popolo che sta a guardare, sta a vedere se succede qualcosa, magari quello che i capi, seguendo le loro ragioni hanno il coraggio di pretendere: “Ha salvato gli altri, salvi sé stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”. Ciò che viene messo in discussione è la sua identità, ingabbiata in una logica in cui l’uomo stabilisce la verità e la prova per verificarla. Ma l’identità di Gesù non dipende dai desideri e dalle pretese umane, né la prova che la certifica deriva dalla relativa logica. Gesù è il Cristo di Dio perché viene dal Padre e manifesta la sua identità restando fedele a colui che l’ha inviato, compiendo fino in fondo la sua volontà. L’unica prova messa nelle mani degli uomini è davanti ai loro occhi. Davanti agli occhi di chi non è scappato, di chi non sta sotto, di quella pecora smarrita, di quel peccatore perduto che il Figlio dell’uomo è venuto a cercare, che l’umanità non sapendo come recuperare l’ha messo sulla croce, l’ha posto lì accanto a colui che “Dio fece peccato a nostro favore, perché noi potessimo diventare giustizia di Dio”.
Ed è qui accanto alla croce, girando un poco la testa, che nasce la possibilità di incontrare la regalità e di riconoscerla, l’opportunità di entrare nel regno. Una possibilità che è stata vissuta in modo diverso. Il primo ladrone si allinea alla logica umana dell’insulto, non riconosce in quello che sta accadendo, l’opera salvifica del Padre, perché troppo occupato a giudicare “l’incapacità del Figlio”. Il secondo ladrone accoglie la logica paradossale, “Noi condannati alla stessa pena giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”, riscopre il timore di Dio che gli permette di riconoscere la regalità di Gesù e di chiedere: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. La risposta di Gesù nella sua brevità spiega tutto. Svela che nell’oggi della croce e della sua morte si è realizzato il regno di Dio che si era “avvicinato” e rivela che per entrare è necessario prendere la propria croce, portarla e metterla accanto a quella di Gesù, salire e da lì guardare, riconoscere e confessare la propria fede sull’identità di Gesù e sulla sua azione salvifica. La storia della regalità di Gesù, e della nostra, infatti, è storia di chi davanti alla croce scappa, di chi si ferma per insultare e giudicare, ma è anche storia di chi sa riconoscere chiedere e accogliere quello che il re crocifisso è venuto a portare. “Perché piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della croce. È lui, infatti, che ci ha liberato dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto.”.