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Dal guscio delle nostre paure al coraggio dello Spirito

Sarebbe bello soffermarci per ricordare tutto quello che lo Spirito Santo è e fa, ma è un mare così profondo, un tesoro così prezioso, una realtà così imperscrutabile che non potremmo mai farlo in modo esaustivo. Eppure lo Spirito Santo resta il Dio ignoto, l’eterno sconosciuto. Forse non siamo proprio ai livelli di quei discepoli di Efeso, che alla domanda di Paolo: “Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?”, rispondono tranquillamente: “non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo”. Noi forse ne abbiamo sentito parlare, ma è ancora molto vaga l’idea che abbiamo di Lui e ancor più della sua forza e potenza, tant’è che difficilmente ne parliamo e raramente lo invochiamo. La solennità di Pentecoste viene proprio con questa finalità: farci almeno riscoprire l’importanza dello “Spirito di verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce”.

Il Vangelo di oggi ci riporta alla sera di Pasqua e ci mostra il Risorto che appare agli apostoli “chiusi” nel cenacolo, dove si erano rifugiati per “paura” dei giudei. Già questi due primi atteggiamenti non sono per nulla estranei e sconosciuti oggi: chiusura e timore. Mille motivi ci inducono a chiuderci nel guscio delle nostre convinzioni e non ci premettono di far entrare neppur il minimo spiraglio di luce, il minimo soffio di vita; poi il timore e la paura di tante situazioni e condizionamenti che forse ci siamo creati noi o comunque che spesso ingigantiamo. Gesù non si scompone né si agita davanti al comportamento di quei discepoli, che eppure aveva cercato di formare, preparare in tutti modi possibili, e fa per loro due cose semplicissime e tuttavia tanto efficaci. La prima: “Venne”. Questo suo venire, come ci dicono gli studiosi, non è semplicemente un farsi presente, quasi per una visita di cortesia, ma una vera irruzione, un immettersi, in modo forte e significativo, quasi una nuova creazione che di fatto cambia, trasforma e rinnova il loro cuore. E cosa dice? Qual è la prima parola? “Pace”. Anche qui non un semplice saluto, una forma di buona educazione, un gesto di cortesia, ma qualcosa che ti cambia dal profondo, perché ti dice che nonostante tutti gli abbandoni, tradimenti, rinnegamenti da parte degli amici più cari, Egli è comunque pronto ad offriti la sua mano, a stringerti in un abbraccio e dirti: “Coraggio, ritorniamo ad essere amici come prima, vi perdono perché vi voglio bene”. Non ci sono parole per descrivere questo momento che rinnova e vivifica, e che ci dice che una nuova storia si apre davanti a chi accoglie e crede nella parola “pace”.

Seguono altre importanti indicazioni che non possiamo farci sfuggire. “Mostrò loro le mani e il fianco”, nei quali erano ancora visibili i segni della sua passione come prova e segno vivo del grande amore di Gesù, amore fino alla consegna totale di sé, al dono della propria vita, fino alla morte. E poi la parte conclusiva del vangelo di oggi, che termina con un gesto e un’ultima parola. “Soffiò”, con riferimento alla prima creazione quando Dio soffiò nelle narici del primo uomo donandogli la vita, e quindi la luminosa rivelazione che siamo davanti a una nuova creazione nello Spirito Santo che anche oggi è Signore e dà la vita, ci vivifica, ossia ci rinvigorisce, rafforza, risveglia. Infine la parola “perdonate”. Ecco il segno di chi ha ricevuto e vive nello Spirito Santo, una forte capacità e inclinazione, non a punire e vendicare, ma quasi una naturale forza e predisposizione a capire, comprendere e amare anche chi ci ha fatto soffrire, anche chi non sempre si è comportato bene con noi. Ecco perché non dovremmo mai stancarci di pregare e dire: “Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra”.

Monsignor Giacomo D’Anna
26.05.2023