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Cristo Risorto ci rende partecipi della natura divina

La festa dell’Ascensione ci ricorda che Gesù, dopo la sua passione, morte e risurrezione, ritorna al Padre, ascende al cielo, sale lì dove si trovava fin dal principio. Dal racconto evangelico di questo importante avvenimento cristologico conseguono delle indicazioni spirituali bellissime. Il brano si apre con un ennesimo riferimento alla Pasqua del Signore: «Il Cristo patirà e risorgerà dai morti al terzo giorno». Da questa notizia eccezionale, che le comunità primitive chiamarono Kerigma, ossia primo annuncio della salvezza, nasce l’impegno dell’evangelizzazione della Chiesa, che da quel giorno sa di essere stata pensata, voluta e realizzata per essere essenzialmente missionaria, ossia destinataria di un annuncio che non può tenere gelosamente per sé stessa, ma che deve portare al mondo intero, da «predicare a tutti i popoli della terra». Da qui una delle caratteristiche della Chiesa, la sua cattolicità, che insieme al suo essere una, santa, apostolica, la rende presenza viva a servizio non di un gruppo ristretto di «gente perbene», ma di tutti i popoli della terra. Ma qual è il dono per eccellenza che scaturisce da questo annuncio che i cristiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi sono chiamati a trasmettere? «La conversione e il perdono dei peccati», in una sola parola l’infinita misericordia del Signore, ossia non un messaggio di morte e di distruzione, ma una bella notizia, un evangelo, la buona novella di una vita nuova nell’amore del Signore che tutti ama, perdona e salva. «Di questo voi siete testimoni». La testimonianza è un dono e un impegno nello stesso tempo. È dono perché conferitoci direttamente da Cristo, ma è impegno perché l’apostolato dei christifideles non può essere un optional, una scelta più o meno importante a seconda della nostra disponibilità, ma è una conditio sine qua non di chi si definisce cristiano. Davanti a questo non facile mandato un certo senso di confusione e di smarrimento colpì i discepoli del tempo di Gesù, come colpisce non poche volte anche quanti sono oggi «mandati» in un mondo che cambia. Ecco perché Gesù ci assicura una «potenza dall’alto», una forza dal cielo, lo Spirito Santo che Cristo definisce «colui che il Padre mio ha promesso», e che è per noi fonte di forza ed energia, di pace ed entusiasmo, indispensabile per l’annuncio del Vangelo della gioia.
Il brano si conclude con Gesù che conduce i discepoli fuori città in una località denominata Betania, che conosciamo come luogo dell’amicizia, proprio per l’ospitalità e l’accoglienza offerta a Gesù stesso dall’amico Lazzaro e dalle sue sorelle, Marta e Maria. Proprio da questo sobborgo alle porte di Gerusalemme Gesù «si staccò da terra e venne portato su, in cielo». Mentre ascende Gesù dona la sua benedizione come segno della sua protezione e salvezza. I discepoli non possono non prostrarsi davanti al Kyrios, ossia davanti al Signore ormai definitivamente glorificato, esaltato, dopo aver redento il mondo con la sua santa Pasqua di morte e di risurrezione. La prostrazione è proprio il segno del riconoscimento della ormai eterna e incorruttibile gloria di Gesù salvatore di tutto il genere umano. La celebrazione dell’Ascensione ci ricorda che Gesù, pur essendo salito al cielo e quindi essendosi allontanato fisicamente da noi, resta sempre vivo e presente nella nostra vita terrena come aveva promesso: «Ecco io sono con voi tutti i giorni alla fine di questo mondo». È indubbiamente una parola di incoraggiamento nei nostri momenti di solitudine e tristezza, ma anche un forte richiamo alla vita eterna, un monito che ci invita a pregare Dio affinché possa darci «la serena fiducia che dove è Lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra uniti nella stessa gloria» per tutti i secoli dei secoli.