Anche a costo di apparire duro ed esigente, Gesù lancia le sue sfide e con fermezza ci indica la via perfetta per seguirlo con generosità e coraggio. La prima richiesta è quella di saper operare un necessario distacco da tutto e da tutti, non ultimo dai propri familiari. Cosa c’è di più sacro dell’amore di un figlio verso i genitori? Come dimenticare il comandamento che ci chiede di «onorare il padre e la madre»? Certamente Gesù fa richieste audaci, ma le motiva con l’esempio della sua stessa vita. Chi di noi non ricorda la risposta di Gesù alla madre angosciata, che lo ritrova nel tempio di Gerusalemme a conversare con i dottori della legge, dopo tre giorni dal suo smarrimento: «Perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Per Lui, come per chi vuole liberamente seguirlo, niente e nessuno può prendere il posto di Dio. Noi sappiamo come sono tante le famiglie che collaborano efficacemente alla vocazione alla vita consacrata o al ministero pastorale dei propri figli, ma non mancano anche genitori che ostacolano, forse anche in buona fede, con la loro invadenza il servizio di questi ultimi. La seconda indicazione che il Maestro dà è quella di non essere sprovveduti e superficiali, ma di calcolare bene le capacità e le attitudini necessarie per mettersi alla sua sequela. Per farlo si serve di due piccole parabole, quella del costruttore della torre e quello del re che muove guerra contro un altro re. Al primo viene chiesto di avere mezzi e disponibilità economiche per affrontare la spesa necessaria per la realizzazione dell’immobile; al secondo di avere un numero necessario di soldati per affrontare il nemico (non si può muovere guerra con diecimila uomini, se un altro ti sfida con ventimila). Quindi il vero discepolo di Gesù farà bene a fare i calcoli prima di seguire il Maestro, il quale richiede una disponibilità al sacrificio forte e decisa, senza scendere a compromessi con alternative poco evangeliche. Non dimentichiamo che Gesù, chiamando alla sua sequela, è stato estremamente chiaro: «Chi mi vuol seguire prenda la sua croce e mi segua» (Lc 9,22). Non ci ha illuso assicurandoci una vita facile e gloriosa, costellata di successi e di onori, ma una “via crucis”, una via dolorosa che porta non a glorie terrene, ma a quella eterna nel cielo. Il discepolo non deve forse essere disponibile a morire per il vangelo? Ovviamente non tutti id discepoli di Cristo sono chiamati a dare la vita in modo cruento, però a tutti è richiesta una continua e costante testimonianza (non dimentichiamo che questo termine in greco è tradotto con marturia/martirio). Gesù sa che l’entusiasmo nel seguirlo può facilmente spingere il discepolo a una decisione affrettata e superficiale. È preferibile non essere suo seguace piuttosto che essere un discepolo a metà o indegno. Ne va della sua credibilità, per la quale sant’Ignazio avrà a dire: «È meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo». Avvertiamo tutti la difficoltà dell’essere discepoli del Signore alle condizioni dettate da Lui, che ci presentano una sua serie di “No” detti a cose, spesso belle e importanti, della vita. Questi “No” sembrerebbero scoraggiare una scelta radicale, ma sappiamo quanto essi siano indispensabili affinché la decisione possa essa libera, consapevole e coraggiosa. Chiediamo a Dio di sostenerci nella scelta del discepolato, che sarà possibile solo se la consideriamo «una perla preziosa, un tesoro nascosto in un campo», per i quali conviene vendere tutto.