Carissimi, la santa madre Chiesa, dopo il tempo pasquale, prima di riprendere il cammino liturgico ordinario, ci invita a sostare su due fulcri della nostra fede: il mistero di Dio unitrinitario, il grembo dell’Amore da cui veniamo e a cui perveniamo e il mistero di quest’Amore che in Gesù continua a consumarsi per tutti e a tutti si dona come presenza viva e vivificante nel pane eucaristico perché nessuno si perda nel faticoso cammino di questa vita.
La celebrazione dell’Eucaristia, culmine e fonte della vita cristiana, è il mistero della nostra fede, annuncio liturgico della consegna di Gesù al Padre suo per noi nella sua morte e risurrezione, nella certezza che la sua venuta nella gloria è già tutta presente nel pane santo: corpus Domini. La Chiesa obbediente al comando del Signore fa “memoria” di Lui (cfr Lc 22,19 e 1 Cor 11,24s), non come mero ricordo del passato, ma come il “già” della Sua Pasqua resa a tutti disponibile per la forza vivificante dello Spirito. Nella sinassi eucaristica noi, popolo di Dio, nutriti e sostenuti dal pane della vita eterna, siamo invitati a ad portare e far gustare nell’oggi della nostra storia, nel territorio della nostra arcidiocesi, i frutti di così grande sacramento: riconciliazione, giustizia, misericordia, equità, rettitudine, solidarietà, accoglienza, inclusione, in sostanza lo shalom salvifico del Risorto, la pace che il mondo non può dare.
E come nell’evento pasquale è il Dio Unitrinario ad operare, così nel memoriale eucaristico è l’agire dello Spirito del Padre donato in abbondanza dal Signore Gesù a farsi presente e a rendere attuale il sacrificio di Cristo: “Padre manda il tuo Spirito su questo pane e sul vino perché diventino per noi il corpo e il sangue del Signore Gesù crocifisso e glorificato”. Partecipando al corpo di Cristo, nei santi doni eucaristici, la Chiesa crede, ha piena consapevolezza, di venire edificata, tramite il sacramento, nella comunione ecclesiale, da vivere tra di noi e da consegnare nell’annuncio evangelico a tutte le genti.
Nel convito eucaristico infatti “poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo, tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10). Ora il pane, simbolo della vita, da noi spezzato intorno alla mensa è la “carne del Figlio dell’uomo”, Gesù di Nazaret, crocifisso e risorto, vero cibo che ci mette in reale comunione nello Spirito tra di noi come figli e figlie dell’unico Padre. In questa relazione riceviamo la stessa vita di Dio, vita eterna, quella che Gesù è venuto a comunicare per renderci capaci di attraversare ogni possibile morte nelle relazioni fraterne, per non essere da essa rapiti e distrutti. L’Eucaristia, vera umanità del Signore Gesù nel pane spezzato e nel sangue versato, mentre dispiega la verità di Dio che è solo Amore, è invito pressante a vivere come Lui, ad amarci nell’accoglienza e nel perdono reciproco nella misura alta del Suo amore. Mangiare Lui significa portare alle labbra un cibo che dovremmo ben conoscere per nutrirci di Lui e diventare come Lui. “Chi mangia me vivrà per me”(Gv 6).
L’eucaristia tuttavia non agisce per automatismo biologico: per nutrirci, per avere vita, è necessario assimilare coscientemente la stessa vita di Cristo di cui l’Eucaristia è il simbolo reale, la summa della sua esistenza, delle sue scelte, del suo stile, del suo pensiero. Siamo di fronte infatti al mistero della fede che interpella la nostra libertà, la nostra sincera adesione a Lui, consapevoli di partecipare al suo stesso destino di consegna al Padre “per” i fratelli e così vivere in lui e come Lui fin d’ora da figli e figlie della risurrezione. Nello stesso tempo è lui che ci assimila a sé partecipandoci il suo Spirito per vivere di Lui e agire come Lui “chi mangia la mia carne rimane in me e io in lui” (Gv 6).
Ma è proprio così? Certo! In fondo dopo ogni celebrazione eucaristica dovremmo ripetere come un mantra l’affermazione di san Paolo: «non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Se non fosse così, almeno come desiderio leale, non saremmo qui a perdere tempo con una ritualità che noi cosiddetti praticanti feriali e domenicali conosciamo a memoria. D’altronde, ci ricordano i vescovi, «In nome dell’Eucaristia, la comunità cristiana […] non emargina nessuno e neppure si emargina, staccandosi dagli altri. L’Eucaristia è forza che plasma la comunità e ne accresce il potenziale di amore: la rende una casa accogliente per tutti, la fontana del villaggio che offre a tutti la sua acqua sorgiva, come amava dire Papa Giovanni. In essa ogni diversità si compone nell’armonia, ogni voce implorante riceve ascolto, ogni bisogno trova qualcuno che si curva su di esso con amore. Incontro, dialogo, apertura e festa ne sono le note caratteristiche» (Cei, Eucarestia comunione e comunità, 1983, 28).
È proprio così?
Ben sappiamo, tuttavia, che dopo anni e anni di partecipazione al banchetto eucaristico fatichiamo e non poco a vivere la comunione, la fraternità, l’accoglienza, il perdono tra di noi di cui l’eucarestia è il fondamento sacramentale che ci fa Chiesa, la nuova umanità scaturita dal costato trafitto del Signore, «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 9). L’Eucarestia che ci fa Chiesa, ci chiede di compiere un decisivo passaggio pasquale dall’io autoreferenziale al noi comunionale, segno profetico per questa nostra città in cui si fatica a mettere insieme tutte le competenze e le professionalità e insieme lavorare per il bene di tutti senza escludere nessuno. La cattiva assimilazione del pane santo, vero corpo del Signore, non può nutrire e alimentare i pensieri, le opere e le azioni del nostro vivere, senza il nostro sincero Amen, credo, aderisco a te Signore e in te Signore so di essere chiamato a vivere in comunione con i commensali al sacro convito della Tua vita.
Di conseguenza che senso avrebbe la processione del Corpus Domini se non fosse la manifestazione pubblica dell’esperienza comunionale e fraterna che stiamo celebrando nel mistero di questa sinassi eucaristica? La dimissione eucaristica del “ite missa est” apre necessariamente alla missione in un mondo, la nostra città, il nostro territorio, bisogno di comunione, di riconciliazione, di cooperazione, di relazioni rispettose dell’alterità e diversità dei tanti volti che incontriamo nel nostro quotidiano.
Tra poco ci metteremo insieme per via, per le vie della città per portare il Corpo del Signore nella vita delle persone, quantomeno per segnalare la Sua presenza in questa storia. Dallo stare insieme intorno al banchetto della Parola e del Pane oggi passiamo a camminare insieme per portare a tutti la Pasqua del Signore, speranza del mondo. La riunione eucaristica che ci fa Chiesa, e il cammino sinodale che esprime la comunione ecclesiale, sono così strettamente uniti: l’Eucaristia è infatti il pane del popolo santo di Dio pellegrinante in questa storia, cibus viatorum (S. Tommaso), sostanza vitale ed energia spirituale dei discepoli posti in cammino dietro Gesù.
Ma dopo aver partecipato alla S. Messa domenicale sentiamo in noi l’urgenza di comunicare il dono di grazia ricevuto senza alcun merito? L’ Eucarestia celebrata accende l’ansia missionaria delle nostre comunità parrocchiali? Se manca questo passaggio, la S. Messa, memoriale del sacrificio del Signore, non rischia forse di involvere in una ritualità religiosa ripetitiva e intimistica, spiritualmente sterile e per alcuni versi stucchevole?
L’assemblea liturgica, questa assemblea, se non si espone all’annuncio del mistero celebrato, se non porta fuori il gusto umanissimo del pane eucaristico, specialmente nei confronti di chi deve accontentarsi delle briciole affettive, educative, sociali, economiche che cadono dalla mensa dei potenti e anche dalle nostre mense, si ripiega su se stessa, si chiude nel cenacolo, confort zone, tradendo ancora una volta l’esplicito mandato di Gesù: portate a tutti la lieta novella del Regno, Dio è Padre e si prende cura di tutti i suoi figli. Pertanto; fate questo in memoria di me.