{module AddThis} Gesù non è il Messia perché qualcuno l’ha riconosciuto o lo riconosce, lo è perché questa è la sua identità, si rivela tale perché l’uomo riconoscendolo possa partecipare di questa realtà.
La stessa pedagogia di Dio viene manifestata nel brano del profeta Ezechiele, la forza che viene dallo Spirito e il comando che ascolta non possono essere annullati dal rifiuto d’Israele, né il peccato, né l’indurimento scoraggia Dio dall’inviare e rendere presente il profeta in mezzo al popolo. Dio apre una porta, che rimane aperta indipendentemente da coloro che non la varcano, è la porta di Gesù Cristo, è la porta della fede.
Gesù, e con Lui Marco, inizia questa dimostrazione da Nazareth, la sua patria, è questo diventa indicativo se ricordiamo quello che aveva detto in 2,21-22: “Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi”; è il ritorno del nuovo nel vecchio che chiede al vecchio di diventare con Lui nuovo. Gesù non torna nel suo paese per conformarsi alla richiesta della sua famiglia, ma va a insegnare, nel brano presente non viene indicato l’oggetto dell’insegnamento, ma il lettore lo conosce già, Egli insegna una cosa sola, la venuta del regno di Dio e la necessità di convertirsi, aprirsi a una nuova realtà, lo Spirito santo, affinché lo Spirito possa raggiungere le profondità dell’uomo e trasformarlo attraverso il perdono.
La reazione dei nazaretani all’insegnamento di Gesù è un rifiuto della persona del loro compaesano, il termine stupore, infatti, viene qualificato da scandalo posto nello spazio testuale a una certa distanza. Le domande che essi si pongono, riassumono i primi cinque capitoli e annunciano quello che sta per avvenire, l’argomentazione è l’identità di Gesù che in precedenza aveva manifestato la sua sapienza, attraverso le massime e le parabole e i suoi prodigi, attraverso le guarigioni e gli esorcismi.
Mentre il lettore era stato informato dell’origine di queste caratteristiche che rivelano la sua identità attraverso l’episodio del Battesimo e il dono dello Spirito santo, i concittadini si chiedono da dove vengono. I nazaretani non sono capaci di comprendere perché non riescono a vedere la novità che lo Spirito ha operato in Lui, per questo sminuiscono il soggetto comparandolo con i membri della sua famiglia ed etichettandolo con il suo impegno nel tempo.
Il carattere unico di Gesù viene riportato all’interno del loro vecchio orizzonte. Essi inciampano e si scandalizzano su questa novità unica perché sono chiusi nel loro vecchiume, vogliono leggere con categorie vecchie ciò che ha bisogno di occhi nuovi e questo li porta all’incomprensione e all’ostinazione. Lasciamo che Gesù illumini la nostra vita con la sua venuta e non cerchiamo di chiudere le fessure della nostra porta con i nostri pregiudizi umani.
Gesù reagisce a un giudizio negativo nei suoi riguardi rivelando se stesso come profeta disprezzato, paradossalmente il loro rifiuto invece di metter in discussione la sua identità, la conferma sulla scia delle grandi figure profetiche dell’Antico Testamento. Gesù è un profeta tratto dai suoi fratelli (Dt 18,18) che diventato benedizione staccandosi da loro (Cfr. Gen 12,1). Egli è un profeta, quindi libero, sostenuto dalla parola di Dio e inviato agli altri. La reazione dei suoi concittadini non gli impedisce di manifestare la sua identità, anzi, ma gli impedisce di operare prodigi poiché manca il requisito minimo dell’apertura della fede senza la quale non possono passare alcune “cose”. Non aprendosi all’insegnamento e all’identità che da esso viene manifestata si privano dei prodigi. C’è un credo dentro il quale deve entrare l’uomo, invitato da Gesù: l’insegnamento. Ascoltare l’insegnamento attraverso l’apertura della fede e riconoscere Gesù dà la possibilità di operare prodigi. L’episodio di Nazareth ha una sua funzione all’interno del vangelo di Marco, anche gli esempi negativi hanno una forza che interpella, Gesù vuole scuotere con e iniziare il suo destinatario eco perché riprende l’attività d’insegnamento altrove.