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Compassione, i sentimenti di Gesù per le strade della Galilea

I vangeli delle prossime domeniche ci faranno seguire Gesù per le strade della Galilea, dove Gesù scende per portare l’annuncio del Regno, reso forte e concreto della sua Parola di salvezza e dai gesti di misericordia e di compassione. Difatti è proprio questa la parola chiave del vangelo odierno: “compassione”, ossia quell’atteggiamento che genera comprensione e solidarietà verso la sofferenza altrui. “Gesù vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”. Mi colpisce innanzitutto il primo verbo, “vedere”. Gesù vede e si commuove. Oggi purtroppo non riusciamo più a vedere, a percepire e immedesimarci nelle sofferenze altrui, somigliamo sempre più a quel sacerdote e al levita della parabola del buon samaritano, che “videro e passarono oltre”. Da qui la nostra prima intenzione di preghiera, chiedere al Signore di darci “occhi per vedere le necessità dei poveri e dei sofferenti” e naturalmente cuore grande per sovvenire ai loro bisogni. Colpito da questa situazione di sofferenza e di prova della folla, che lo segue con tanto interesse e passione, Gesù capisce che è necessario intervenire, e per questo è fondamentale per Lui la collaborazione di diversi operai impegnati nella sua stessa missione, che Gesù paragona a una grande “messe”, ossia la mietitura del grano, con la presenza e la fatica di decine di operai per assicurare un raccolto celere e abbondante. Stavolta è Gesù stesso a darci l’intenzione di preghiera, quella appunto di pregare “il padrone della messe perché mandi operai alla sua messe”. E qui mi sorge spontanea un’altra riflessione. Gesù era il Figlio di Dio e quindi avrebbe potuto fare benissimo anche da solo, non gli sarebbero mancate di certo forze e mezzi, ma sceglie la via della collaborazione proprio per insegnarci l’arte della condivisione e della corresponsabilità. Difatti che fatica facciamo a lavorare insieme e a collaborare, anche per le cause più giuste e sante!
Il vangelo continua con la chiamata dei dodici, ai quali “dà potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e infermità”. È il discorso vocazione alla quale la Chiesa da tempo ormai dedica una intensa pastorale impegnando le migliori energie e risorse. Ma per quanto si può essere bravi ed efficienti in questo settore, non possiamo dimenticare che resta sempre il Signore l’artefice principale delle vocazioni, nel senso che è sempre Lui a chiamare, come di fatti continua a fare, nonostante la cecità e la sordità spirituale di molti cristiani di oggi. Da qui l’importanza di accogliere e far nostra l’intenzione tanta cara al Cuore di Cristo e della Chiesa.
Il vangelo riporta poi l’elenco dei dodici apostoli. Dodici come le tribù di Giacobbe, per dire come Gesù stesso volesse fondare su di loro e per mezzo di loro il popolo della nuova alleanza, la nuova comunità di credenti. A loro chiede con forza, seppur nella diversità degli impegni carismatici, in particolare quelli di liberazione e di guarigione, di adottare il servizio come unico metodo e stile di vita, sul suo esempio che “non è venuto per farsi servire, ma per servire” e per ricordarci costantemente che non si può essere suoi discepoli se non ci si convince che “la vita è un servizio d’amore”, per cui non c’è spazio nella comunità per chi invece di “servire vorrebbero servirsi di…” per avere visibilità, potere e prestigio.
Il vangelo si conclude con quello che rischia di rimanere un semplice slogan: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Nessuna pretesa dunque, nessun merito, ma solo gioia pura e soddisfazione piena per il semplice fatto che Gesù, nonostante la nostra debolezza e fragilità, ci ha scelti e chiamati a lavorare e collaborare nella sua vigna. Abbiamo già ricevuto la nostra ricompensa e per questo non possiamo non essere felici, pregustando già da quaggiù quella gioia eterna nel cielo, promessa da Dio ai servi buoni e fedeli.

Monsignor Giacomo D’Anna