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Come incontrare Gesù? Riconoscendolo nei sofferenti

Anche oggi la parola di Dio può essere interpretata e compresa solo alla luce della dimensione escatologica, ossia pensando che tutto passa in questo mondo, in primis onori e ricchezze, mentre resta solo l’amore e la carità, che sono i mezzi indispensabili per conquistare il premio che Dio ha preparato per i suoi servi fedeli.
Conosciamo tutti l’odierna parabola: un uomo è accusato di aver amministrato male i beni del suo padrone, sperperandoli. Non sappiamo se questo sperpero è stato fatto per arricchirsi personalmente o semplicemente perché era un incapace. Fatto sta che giustamente il padrone ne chiede conto. Cosa avremmo fatto noi al suo posto? Forse avremmo pensato a delle strategie anche poco trasparenti pur di far riquadrare i conti, magari corrompendo qualcuno o falsificando persino i bilanci, pur di uscire a testa alta. Difficilmente avremmo scelto la via intrapresa dal fattore. E qual è? Quasi assurdo a dirlo, ma è quella della carità. Dei lavoratori, poveri padri di famiglia, si sono ritrovati dall’oggi al domani con un condono del debito contratto, e con una certa quantità di grano e di olio inaspettati. Immaginiamo la loro gioia! Anche questo abuso viene riferito al padrone, il quale invece di indignarsi e scaraventare fuori dalla porta l’amministratore disonesto, lo indica come modello di vita tra tutti i suoi coloni, proclamando una sentenza inoppugnabile per noi figli che dimostriamo sempre, a suo avviso, di essere meno scaltri dei figli delle tenebre.
Eppure dovrebbe essere scontato per tutti: quello che non facciamo per amore o per carità lo dovremmo fare per un sano personale egoismo che faccia arricchire non solo noi, ma anche gli altri. Dimostriamo così di essere gente di dura cervice. Gesù con chiarezza ci invita a farci degli amici con la disonesta ricchezza, precisando che la ricchezza è di per sé sempre disonesta, che da essa non c’è molto da sperare, che essa anzi è una minaccia vera e propria per la nostra salvezza: per questo altrove dirà: “Come è difficile che un ricco entri nel regno dei cieli” (Mc 10,17). Eppure la fatidica cruna dell’ago potrebbe essere sufficiente a far passare persino un cammello, se invece di usare la ricchezza per i loschi fini e per i nostri egoistici guadagni, la usassimo per fare del bene agli altri. Che triste l’abuso di potere, la mania di grandezza e persino la prepotenza, che spesso notiamo in tutti i nostri ambienti, dove notiamo persone ergersi a padroni della vita altrui, con una boriosità e alterigia semplicemente paurose, che li portano a guardare gli altri dall’alto in basso. Il potere loro conferito, più o meno meritato, è solo un’occasione per fare i primi della classe, magari mortificando e sottomettendo gli altri, anziché far loro del bene.
Ora, se non siamo capaci ad essere di aiuto a quelli vicini, come potremo aiutare i lontani? Se non sappiamo fare del bene ai nostri parenti e amici, come potremo soccorrere e perdonare i nostri nemici? Comprendiamo e accogliamo dunque l’insegnamento di Gesù sull’uso corretto delle ricchezze umane, che ci fa respingere ogni sentimento di cupidigia, avarizia e ingordigia, non dimenticando che la vera ricchezza è il tesoro accumulato nel cielo attraverso le nostre opere di carità.
Infine, mi ha sempre colpito un’invocazione contenuta nella benedizione finale del rito del matrimonio, che rivolgendosi ai novelli sposi recita così: “Sappiate riconoscere Dio nei poveri e nei sofferenti, affinché essi vi accolgano grati un giorno in paradiso”. Che bello pensare che nel giorno del nostro trapasso alle porte del paradiso non ci sarà solo Dio nostro Padre, magari accompagnato da Maria, dai santi e dai beati del cielo, ma ci saranno anche i poveri, i sofferenti e quanti avremo aiutato e soccorso in questa vita e che quel giorno interverranno e testimonieranno a nostro favore dicendo al Signore: “Lasciali entrare, accoglili perché anch’io quand’ero sulla terra come Gesù ho avuto fame e lui mi ha dato da mangiare!”.