Dietro il Maestro una grande folla che lo segue, come precisa l’evangelista Marco, non tanto per uno squisito senso di fede e di amore per Lui, ma indubbiamente per interesse e anche per un po’ di curiosità: “Perché vedeva i segni che faceva sugli infermi”. Gesù non mancherà di rimproverare questo atteggiamento dei suoi primi seguaci. Ma noi perché lo seguiamo? Possiamo affermare sinceramente di seguirlo spinti esclusivamente da un profondo senso di fede? Nessuno a questa domanda può rispondere per il fratello o la sorella, ma ognuno è chiamato a mettersi davanti a Dio e dare a Lui una risposta secondo coscienza.
Gesù, mosso come sempre da grande compassione e tenerezza verso tutti, coglie un’urgente difficoltà: la gente lo segue da tempo ormai senza toccare cibo. Da qui il dialogo con due dei suoi discepoli, Filippo e Andrea, circa la possibilità di reperire il pane per tutti. Molti ricorderanno quel vecchio canto che facevamo da bambini ispirato all’odierna pagina evangelica. Personalmente mi colpiva perché, dopo aver fatto una sorta di dichiarazione dei redditi: “io possiedo solo cinque pani, io possiedo solo due pesci, io possiedo un soldo soltanto”, citava anche altri tipi di beni, i propri talenti, anche quelli come qualcosa da dichiarare: “io so suonare la chitarra, io dipingere, fare poesie, io so scrivere e penso molto”. Che c’entravano le cose da fare, mi chiedevo allora, con le cose da possedere? Il messaggio era chiaro: “Non di solo pane vive l’uomo”, ma anche di cose più spirituali, come il canto, la musica, l’arte e la cultura, sempre indispensabili per assicurare all’uomo dignità e benessere. Entrambe le strofe si concludevano con l’affermazione “io non possiedo niente”. Anche qui mi chiedevo: e cosa c’entra? Se uno non ha niente, non può dare niente. Ma poi, una volta cresciuto, ho compreso che nessuno è così povero, nessuno è così assolutamente privo di qualcosa, da non poter offrire e condividere niente.
In fondo è proprio questa la parola da non darci sfuggire per la nostra odierna meditazione: condividere. Ai bambini della mia parrocchia, nelle messe domenicali, per spiegare il senso di questo verbo, parto sempre dal contesto in cui essi hanno imparato a conoscerlo, ossia nei social network, anche nell’espressione inglese share, che significa appunto condividi. Nel web moltissimi post vengono condivisi sulle proprie pagine o su quelle dei propri amici. Gesù – dico ai ragazzi – non ci chiede tanto di condividere i post che troviamo in rete, ma tutto quello che Lui ci ha donato, in particolare i doni e i carismi, i beni materiali ma anche quelli spirituali, le cose che servono per il nostro corpo, ma anche le attitudini che ognuno ha dentro di sé come perle preziose, come talenti da non andare a nascondere sottoterra o a custodire dentro un fazzoletto, ma da mettere a disposizione degli altri. Sì, se condivido arricchisco gli altri, senza per questo diventare più povero. Ecco perché dobbiamo imparare tutti a superare la tentazione dell’egoismo per aprire il cuore alla solidarietà, al dono di sé per gli altri. Il Vangelo oggi lo dice chiaramente: nella condivisione dei nostri poveri mezzi c’è il segreto della vera felicità e dell’abbondanza, per cui la Scrittura a chiare lettere dice: “Colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno”. Anzi più sappiamo condividere con gli altri i nostri beni, più ci ritroveremo ricchi agli occhi di Dio; più nasconderemo, accumuleremo le nostre cose, più alla fine ci ritroverò a mani vuote. La condivisione diventi allora nostro quotidiano stile di vita e impegno a superare la fredda logica del calcolo: “C’è qui un ragazzo con ha pochi pani e due pesci, ma cosa è per tanta gente?”. Condividiamo il nostro poco, tiriamo fuori il nostro niente, “e il miracolo del pane in terra si ripeterà”. Infine risuonino sempre belle e attuali le ultime parole della preghiera semplice di San Francesco: “È donando che si riceve, perdonando che si è perdonati, morendo che si risuscita a vita eterna”.