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Cinque nuovi sacerdoti per la diocesi di Reggio Calabria, Morrone: «Abbiate il coraggio di essere testimoni come Gesù»

Oggi alle 18, nella Basilica Cattedrale, durante la celebrazione presieduta dall’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria-Bova e presidente della Conferenza episcopale calabra, monsignor Fortunato Morrone, si è reso ancora una volta grazie al Signore per il prezioso dono delle vocazioni. Don Emanuele Benedetto, don Saverio Caccamo, don Alessandro Cama, don Candiloro Simone Costarella e don Vincenzo Pace sono stati consacrati presbiteri per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria dell’arcivescovo Morrone.

Domani, domenica 25 giugno, i futuri presbiteri presiederanno per la prima volta la messa nelle rispettive comunità parrocchiali di provenienza: don Alessandro al Santuario di Modena (9:00), don Emanuele a Santa Lucia (11:45), don Candeloro Simone a Santa Maria della Presentazione in Montebello Ionico (16:45), don Vincenzo nella parrocchia di San Bruno (10:30) e don Saverio a San Giuseppe in Melito Porto Salvo (19:00).

«Non vi manchi il coraggio di essere testimoni di una vita personale semplice e sobria, generosa perché povera come Gesù…» ha detto l’arcivescovo Morrone rivolgendosi ai novelli sacerdoti durante l’omelia che vi proponiamo integralmente qui di seguito.

Ordinazioni sacerdotali, l’omelia integrale dell’arcivescovo Fortunato Morrone

Carissimi saluto con affetto tutti voi qui presenti per questa gioiosa celebrazione eucaristica, ma permettetemi di rivolgermi anzitutto ai nostri ordinandi. Cari Alessandro, Emanuele, Enzo, Candiloro Simone, e Saverio semplicemente grazie per il vostro sì al Signore in questa nostra Chiesa, oggi più ricca di tanta grazia.

Un saluto cordiale alle vostre famiglie e alle comunità parrocchiali di provenienza e quelle che in quest’ultimo periodo avete servito come diaconi. Un grazie all’equipe del seminario che guidata dal rettore, don Nino, ha curato la vostra formazione. L’ordinazione di ben 5 nuovi presbiteri è motivo di orgoglio e di gioia per tutta la nostra Arcidiocesi.

Prima di invocare l’abbondanza del dono dello Spirito Santo sui nostri ordinandi per il ministero presbiterale, ci lasciamo ispirare dalla Parola di Dio luce ai nostri passi personali ed ecclesiali. Accogliamo con docilità questa Parola, specialmente il Vangelo, che oggi, cari ordinandi, è seminato in modo particolare nel vostro cuore (cfr. Gc 1), per la vostra gioia e per la gioia delle persone che negli anni del vostro ministero la Chiesa affiderà alla vostra cura pastorale.

In questa e nella prossima domenica la chiesa ci chiede di sostare su una parte del capitolo 10 di Matteo comunemente detto “missionario”. È il secondo lungo discorso di Gesù che inizia con la chiamata e l’invio missionario dei dodici.

Oggi la parte del discorso missionario, così come abbiamo avuto di ascoltare interessa due momenti della missione: la paura che assale l’inviato nella possibile persecuzione a causa del Vangelo e il riconoscere o rinnegare Gesù (vv.32-33). Per ben tre volte Gesù invita i suoi a non aver paura: questo sentimento che abita l’animo umano, come ben sappiamo, rischia di bloccarci nei pensieri e nell’azione. La paura di non essere all’altezza del compito affidatoci, di non riuscire nei negli obbiettivi che sinceramente ci siamo proposti, la paura di perdere posizioni e amicizie, la paura di essere contradetti e messi in un angolo, la paura di essere considerati un numero, la paura di morire.

Anche i discepoli e gli apostoli inviati per la missione non sono esenti da questo sentimento, il medesimo conosciuto da Gesù di fronte alla forte opposizione che ha trovato in quegli ambiti dove al suo tempo si esercitava il potere politico, religioso e famigliare.

E così, la prima comunità cristiana, di cui Matteo ci riporta l’originaria esperienza credente, sperimenta, con non poca difficoltà quello che ha vissuto Gesù: il suo Vangelo trova resistenza anche violenta, è scomodo, poiché chiede conversione di vita e di sguardo sull’esistenza propria e altrui, sulle relazioni che investono il vivere umano alla luce della novella del regno di Dio. Con visione realistica Gesù ci avverte che l’annuncio del Vangelo non troverà accoglienza scontata, anzi quando gli apostoli, i credenti inviati a portare il lieto messaggio a tutti, mettono in luce le ingiustizie e i mali che si consumano nei luoghi dell’esistenza umana a partire dalla famiglia fino ai piani alti del potere sociale, religioso, amministrativo, economico, l’opposizione può trasformarsi in violenta eliminazione della propria vita.

Le prime e brutali persecuzioni dei cristiani ad opera del potere imperiale romano così come quelle che ancora si presentano con drammatica attualità in varie parti del mondo, sono un chiaro riscontro delle parole di Gesù: “hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi, sarete odiati da tutti a causa del mio nome”.

Gesù ci sta parlando della testimonianza che richiede l’essersi immessi nel cammino dietro di Lui, con tutto il cuore con tutte le forze, con tutta l’anima.

Carissimi, poiché avete accolto la chiamata del Signore e avete scelto di seguirLo come causa della vostra esistenza, legando la vostra vita al ministero dell’annuncio del Suo Vangelo, ciascuno di voi la vita l’ha già consegnata e donata al Maestro. Cosa potrà mai significare quel gesto di mettere le vostre mani nelle mani del Vescovo se non ratificare con sincerità che la vostra esistenza è totalmente donata per servire il popolo santo di Dio.

Perché mai, allora, dovrebbe farvi paura morire per il Vangelo? Gesù ci assicura che chi uccide il corpo nelle molteplici forme in cui questo dramma può manifestarsi, non ha però il potere di espropriarvi da voi stessi, poiché sia che viviamo sia che moriamo siamo/siete del Signore, da lui costituiti perché andiate e portiate frutti di vita buona, bella, beata nel ministero di grazia e di benedizione che siete chiamati ad esercitare per l’edificazione della Chiesa, della quale siete costituiti ministri. Sappiate allora che “Dio si pone sempre dalla parte di chi annunzia la vita e mai di chi la toglie” (A. Maggi).

Gesù invita a non aver paura della persecuzione quando questa è frutto del chiaro annuncio del Vangelo e non delle nostre fisime o rigidità mentali e spirituali, del nostro carattere o dei nostri interessi. Dobbiamo temere piuttosto quando la nostra esistenza, il nostro ministero è difforme al Vangelo proclamato e ai misteri celebrati. Se non vigiliamo su noi stessi e su tutto il gregge a noi affidato (cfr At 20,28), questo stile diabolico e dissociato può distruggere completamente la nostra vita, precipitandola nella geenna del fallimento.

Pertanto, nei momenti in cui il vostro ministero a causa di Gesù vi procuri “terrore all’intorno” (Ger) creato anche da falsi amici che attendono la vostra caduta, una vostra defaiance, una vostra contraddizione rispetto al Vangelo proclamato, all’Eucaristia presieduta, può accadere di essere tentati di non riconoscere in Gesù la ragione della vostra vita, negando come Pietro di aver conosciuto il Maestro (cf. Mt 26,70.72) e di conseguenza di non essere più riconoscibili come suoi discepoli.

In questi frangenti la tensione potrà spingervi a tacere la speranza che abita il vostro cuore, a restare silenti rispetto alle ingiustizie che si consumano intorno a voi e che il Vangelo vi chiede di denunciare, allora la paura può prendere il sopravvento fino a spingervi a lasciare l’agone che il sacerdozio ministeriale comporta. In questi possibili momenti il Signore che vi ha chiamati, non già per i vostri meriti, sarà al vostro fianco rilanciando la sua fiducia nei vostri confronti, Lui che conosce perfino i capelli del vostro capo. Non abbiate paura, voi non valete più di molti passeri? Dio, il Padre di Gesù non abbandona nessuno, specialmente quando cadiamo, indietreggiamo, ci smarriamo sotto il peso e la fatica dell’apostolato.

Ma non possiamo, non potete tacere la verità umanizzante del Vangelo che ha appassionato e attratto la nostra/vostra vita. Tutti hanno diritto ad ascoltare il Vangelo. Vi chiedo allora di proclamarlo in pieno giorno quali ministri gioiosi di una chiesa essenzialmente missionaria, in uscita.

Perciò, non abbiate paura degli uomini, ci esorta il Signore, anzitutto non abbiate paura di voi stessi, della vostra umanità, delle vostre ferite, delle vostre fragilità. Non abbiate paura di sognare e di praticare una chiesa dove la fraternità tra tutti i suoi membri è la cifra visibile dell’Eucaristia che presiederete. La Chiesa che ha fatto risuonare in voi la chiamata del Signore a seguirlo nel sacerdozio ministeriale, oggi non vi ordina perché vi ritiene dei super uomini, pronti ad ogni stress test, attrezzati intellettualmente e spiritualmente a reggere la fatica apostolica che l’esercizio del ministero comporta anche in termini emotivi, affettivi, psicologici, relazionali. Assolutamente no.

La Chiesa nei concreti volti di chi vi ha fin qui accompagnato, dalla vostra famiglia alla grande famiglia ecclesiale delle vostre comunità parrocchiali, dagli amici e dalle amiche che vi hanno testimoniato la bellezza umanissima di Gesù, dall’equipe formativa che ha seguito e curato i vostri passi in quest’avventura, la Chiesa, questa Chiesa dunque si fida di voi perché sa che il Signore sceglie chi Lui vuole.

Non vi manchi perciò il coraggio, in questo cammino sinodale, di osare nell’agire pastorale in sintonia con il vostro vescovo perché la traditio fidei non risulti un lago stagnante di formule dottrinali e rituali senza vita, senza mordente, senza attrattiva, senza profezia. Non vi manchi il coraggio di essere testimoni di una vita personale semplice e sobria, generosa perché povera come Gesù, in modo che l’annuncio del Vangelo e la celebrazione eucaristica risulti, per quanto è in voi, credibile e appassioni il cuore delle persone che udranno la lieta novella del Regno che Dio è Padre e si prende cura di tutti i suoi figli di tutte le sue figlie, specialmente di coloro che sono privati anche delle briciole dei più elementari diritti.

Cari amici, grazie per il vostro sì al Signore che rende più bella questa nostra Chiesa e conforta la mia poca fede. Se è vero che nell’annuncio del Vangelo come apostoli e specialmente nel viverlo come discepoli di Gesù sappiamo che non mieteremo successi, non è questo che ci interessa. Anzi la possibile popolarità o affermazione ministeriale potrebbe indurci a pensare che l’opera di Dio in realtà sia frutto esclusivo del nostro affannoso e autoreferenziale lavoro.

Una cosa è certa: a noi, a ciascuno di voi, mediante la Chiesa, è donata la grazia di essere ministri autorizzati del Vangelo senza alcun merito. Non ci basta questa Grazia? Pertanto il vostro sacerdozio ministeriale sia vissuto in un continuo rendimento di grazie. Gratuitamente avete ricevuto gratuitamente date. Sia questa l’Eucaristia che fin da oggi celebrerete di fronte al popolo santo di Dio e che fa ci costituisce Chiesa di Dio, sacramento di salvezza dell’umanità intera. Amen

+ Fortunato Morrone
Arcivescovo Metropolita