Se non ce l’avesse detto Lui, non l’avremmo mai pensato; noi possiamo essere ‘determinanti’ come il sale e la luce soltanto perché Gesù ci ha costituito tali in forza dello spirito delle Beatitudini appena proclamate. Ciascuno di noi vorrebbe lasciare il segno nei luoghi fisici ed esistenziali che abita, ma spesso con l’egoismo e le tante fragilità che ci caratterizzano corrompiamo tutto. Ora il sale, tra le tante funzioni, aveva quella di preservare i cibi dalla decomposizione, per cui tale immagine indica che non corriamo il pericolo di mandare in rovina cose e persone fintanto che siamo in Lui. Tale permanenza nella relazione con Cristo, secondo la radicalità evangelica illustrata nelle Beatitudini, ci permetterà di dare «sapore», il principale ruolo del sale qui richiamato. Si tratta della grande responsabilità affidata al credente di mostrare la bellezza nascosta nelle cose create mediante una testimonianza di fede che indichi come in tutto ci sia un presentimento d’amore, un dono che richiama fortemente la presenza del Creatore. Quando il cristiano non aiuta più l’uomo a incontrare Dio attraverso gli eventi della vita e gli elementi della natura, ha tradito la sua vocazione, ha esaurito la sua funzione nel mondo e, come il sale che «perde il sapore…a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente». Se la gente oggi non ci prende sul serio o anche ci maltratta, non è sempre un fallimento attribuibile alla durezza di cuore degli altri, ma probabilmente alla nostra incoerenza, ad una fede troppo carica di buoni propositi, a stento trasformati in opere di misericordia. Bisogna poi stare attenti a non eccedere col sale, che nei cibi va usato in giusta misura; allo stesso modo, il cristiano non si impone mai, è presenza discreta e alle volte invisibile, non ha paura di stare negli anfratti della storia e neanche sottoterra, perché sa che quando è sepolto egli è seme.
Poi vi è il richiamo ad essere luce, sia nella dimensione pubblica che privata, che non possono differire tra loro se non nella estensione dell’irradiazione che le caratterizza. Quando eravamo bambini i genitori ci rimproveravano perché fuori eravamo santi e dentro diavoli; invece Gesù afferma che siamo sempre luce, ovunque ci troviamo, qualunque sia la funzione che esercitiamo. Ciò che unisce le due dimensioni della vita è l’essere posti in alto: «sopra un monte…sul candelabro». Il cristiano sta in alto non quando miete successi e si inorgoglisce, ma quando sale sulla croce con Gesù: è allora che diventa luce, perché splende della stessa luce della Pasqua. E, sulla croce, diventa un cero pasquale vivente, un segno per gli uomini che, guardandolo, renderanno «gloria al Padre». Sale e luce non operano per se stessi, ma si sciolgono e si irradiano negli altri: il credente trova così la sua identità nel dono continuo e generoso di sé. Ci basta assaggiare un cucchiaio di minestra insipida per rifiutare tutto il piatto; è sufficiente che manchi la corrente elettrica un minuto per protestare: ecco perché il cristiano non può abdicare alla sua vocazione e missione neanche un attimo, poiché perderebbe di vista se stesso. Ne va della nostra stessa permanenza nella relazione con Cristo, che ci rende membri dell’unico corpo; della infusione costante dello Spirito, che anima il nostro essere; della figliolanza verso il Padre, che ci chiarisce da dove veniamo e dove andiamo.
Gesù accosta i due simboli. Ci vuole luce per vedere la giusta quantità di sale da spargere. Vi è una intrinseca unità tra le dimensioni vitali del cristiano, dalla vocazione alla missione, dalla contemplazione all’azione, dalla teologia alla pastorale. Cristo sottolinea il «voi» dell’essere sale e luce: vi è il richiamo a una profonda unità non solo personale, ma anche della comunità cristiana, tutta investita del compito della testimonianza. Non mancano oggi i profeti nella Chiesa; forse mancano comunità profetiche perché carenti di carità fraterna e dello spirito delle Beatitudini, autentici sale e luce.