Può capitare nella vita di trovarci dinanzi a condotte che riteniamo ingiuste; in questi casi percepiamo una grave offesa alla nostra dignità e vogliamo reagire. Il punto è: cerchiamo giustizia o la possibilità di rivalerci ed essere noi finalmente dalla parte di chi vince e decide? Gesù smaschera subito tale desiderio ambiguo e pone un interrogativo che sposta su un altro piano l’argomento col suo interlocutore. La mediazione di Cristo non verte su questioni materiali, risolvibili mediante il naturale buon senso e il riconoscimento dell’altro con un volto uguale al mio; Colui che lo ha «costituito giudice» concepisce la mediazione in una maniera del tutto nuova, non riducibile alle attese del cuore umano, intrise di cupidigia. La volontà del Padre e l’insegnamento del Figlio chiedono di tenersi lontani dalla brama di possesso, perché la vita non dipende dall’avere, ma dall’essere. Per inculcare questa verità ad un cuore tardo a comprenderla, Gesù racconta la parabola del ricco stolto, che si presenta con un monologo interiore, segno di una impostazione di vita autocentrata. Demolire i magazzini e costruirne altri non è ragionevole: perché distruggerli? Non avrebbe potuto costruirne di nuovi che coesistessero con quelli precedenti? Una scelta del genere mostra da subito il vano ragionare del ricco, che punta a un godimento oltremisura e programma tutto in vista della propria soddisfazione. Egli si illude che l’inquietudine possa essere placata con altra inquietudine, perché sicuramente l’acquisizione di nuovi beni provoca l’ansia di gestire il superfluo o la paura di perderlo. «Riposati, mangia, bevi e divertiti» sono il massimo bene a cui il possidente aspira, e lo ribadisce nel proprio intimo, trasformando il luogo dei sogni nella sede dei vaneggiamenti. Il tentativo di giustificare a noi stessi scelte che in realtà non promuovono la vita è quanto di più stolto e al contempo pericoloso, in quanto ci allontana dalla sapienza di Dio. Ce ne accorgiamo perché le decisioni ispirate dal cuore di Dio presentano maggiore fluidità, ti lasciano libero dentro, creano sempre una feconda comunione con il prossimo. Se è così, il ricco avrebbe dovuto cogliere l’ingenuità del suo piano; se ciò non è avvenuto, forse perché egli ha perso totalmente il contatto con Dio. Anche menti intelligenti, che potrebbero elevarsi al Signore, rimangono invischiate nelle cose di questo mondo e rinunciano all’investimento più importante che dovrebbero fare, quello sul proprio futuro. C’è un futuro nella parabola che è semplicemente illusorio, poiché non viene da Dio. L’insegnamento del racconto, dando direttamente e inaspettatamente la parola al Signore, diventa più che solenne: il futuro è contenuto nella qualità di ogni giorno che vivi, il quale potrebbe essere l’ultimo. Lungi da Luca incutere il terrore del tempo che, non essendo da noi controllabile, diventa motivo di un’angoscia esistenziale che nega qualsiasi valore alle cose di questa terra; bisogna cercare le cose eterne non per eludere il presente, ma per orientarlo verso il futuro di Dio. E l’unico modo per farlo è puntare sulle persone e non sui beni, sulle relazioni e non sul possesso. Arricchirsi davanti a Dio è seguire lo stile di Cristo che ha cercato la relazione col Padre e con i fratelli; i beni hanno valore se facilitano l’incontro con l’altro, altrimenti sono un impedimento alla comunione che rende preziosa la vita. Come non legare al possesso di cose e persone un cuore che invece per tanto tempo si è perso dietro alla bramosia? L’unico modo è dare ascolto alla voce della verità che, come suggerisce la parabola, ad un certo punto risuona misteriosamente alla coscienza di chi sta costruendo non un magazzino, ma la tomba della propria anima. Tanti esempi di uomini ricchi, che hanno avuto una crisi di coscienza e hanno donato ciò che avevano, dimostrano che non siamo fatti per la pura mondanità. Chiedo vita a Dio o alle cose? Ognuno deve rispondere personalmente perché la scelta sulla propria vita non è delegabile ad altri.