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Brambilla ha inaugurato l’Anno accademico degli Istituti teologici reggini

Oggi, 27 gennaio, dalle 16 presso l’Aula Magna “Vittorio Luigi Mondello” del Seminario arcivescovile “Pio XI” di Reggio Calabria si è tenuta l’apertura dell’Anno accademico degli Istituti teologici dell’arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova. Docenti e studenti dell’Istituto teologico e dell’Istituto superiore di Scienze religiose (Issr) hanno partecipato a un pomeriggio di riflessione e preghiera concluso con la celebrazione della santa messa presso la Cappella maggiore “San Paolo” all’interno dei locali del Seminario diocesano di Reggio Calabria.

L’introduzione

I lavori sono stati aperti e presieduti da monsignor Fortunato Morrone, arcivescovo metropolita di Reggio Calabria e presidente della Conferenza episcopale calabra. «Nessuno si costituisce da sé. La generatività è un tema antico, ma sempre nuovo; noi crediamo che il Figlio è eternamente generato dal Padre» ha detto Morrone nel corso del suo intervento introduttivo.

Ha aggiunto l’arcivescovo reggino: «La Chiesa sta riflettendo sulla sua stessa essenza cioè essere convocata “a camminare insieme”. La libertà che costituisce il “noi” è un tema molto interessante: attenzione all’individualismo che ci porta a “tirarci fuori”». Proprio sulla trincea educativa si sono concentrate le ultime battute del presule pitagorico: «Ringrazio quanti aiutano i giovani a crescere nella fede; dove c’è la fede, infatti, c’è la libertà. La trasmissione è originale, seppur legata alla tradizione; è creativa, generativa».

Subito dopo le parole di monsignor Morrone è toccato ai due direttori degli Istituti teologici di Reggio Calabria, don Antonino Paolo Sgrò (Istituto teologico) e Annarita Ferrato (Issr). Don Sgrò – ricordando in apertura del suo intervento la concomitanza tra l’Apertura dell’Anno Accademico con la Giornata della Memoria – ha voluto raccogliere «l’appello di papa Francesco: la teologia non può non sentire il terreno della ricerca irrorato dal sangue e ossigenato dal fumo dei corpi sterminati nei campi di concentramento». Uno sguardo tra passato e presente, con un riferimento anche ai perseguitati di oggi.

Il direttore dell’Istituto teologico ha focalizzato, poi, il suo intervento sulla realtà accademica: «Sono passati trent’anni dall’istituzione dell’Istituto teologico diocesano di Reggio Calabria. Monsignor Morrone, in continuità coi suoi predecessori, ha mostrato amorevole cura all’Istituto nel segno della crescita e del rinnovamento». «L’impegno di formazione, in questo trentesimo anniversario, è suffragato poi dal cammino del Sinodo. La Parola di Cristo ha chiosato Sgrò – annuncia la libertà dell’uomo di ogni tempo dalla schiavitù: auspichiamo coi nostri studi di favorire il processo di rivelazione di Dio che attende di realizzarsi nella vita di ogni persona umana».

La parola è passata ad Annarita Ferrato, direttrice dell’Issr, che ha voluto aprire il suo intervento con un ricordo della professoressa Anna Cappelleri, recentemente tornata alla Casa del Padre. «L’Issr prosegue la tradizione della scuola di formazione teologica per i laici istituita da monsignor Ferro nel 1972» ha detto Ferrato proseguendo: «Abbiamo scelto di adoperare la didattica integrata che ci ha permesso di raggiungere studenti che vivono in diocesi lontane. Ogni momento di difficoltà racchiude anche delle opportunità che non possono essere sprecate».

Nel descrivere l’attivià dell’Issr, Annarita Ferrato specifica come, oggi, gli iscritti siano «94 studenti, tra i 20 e i 60 anni. L’eterogeneità degli studenti è un punto di forza. Nei loro riguardi l’Istituto si applica in ottica di servizio».

La prolusione

La prolusione di monsignor Franco Giulio Brambilla si sviluppa partendo dal tema “La Libertà, un andare nascendo. Un pensiero e una spiritualità della nascita?”. «L’in¬ver¬¬no demografico ha detto monsignor Brambilla – è l’esito preoccupante, nella vita personale, familiare e sociale, dell’ac¬cento posto sulla mortalità e fragilità dell’uomo, sulla sua finitezza e vulnerabilità. Esso ha creato prima un atteggiamento prometeico e progressista e poi un clima depressivo e angosciato. Anzi ha inoculato la paura per il futuro che viene ritenuto incerto e minaccioso».

«Si è ridotta la nascita all’inizio della vita, non all’ori¬gine che genera sempre da capo l’umano del¬l’uomo e della donna, che lo rende sempre un essere-per-la-nascita. L’origine non sta all’inizio, ma è al cuore del vivente umano, della nostra vita nel mondo, è il dono che continuamente genera e fa risorgere la vita. Siamo fatti per la vita e non per la morte, e se siamo mortali e limitati, la nostra finitudine è (e dev’essere) un dono che sprigiona la vita. L’essere-per-la-nascita è un essere-per-la-vita e il nostro essere mortali non può significare che con la morte finisce tutto. La finitezza è un dono da custodire nell’apertura all’altro, al mondo, alla società, al futuro e a Dio. Dio ci dona la vita senza pentimento, non per farla morire, per farla iniziare sempre da capo, anzi per farla risorgere. La libertà è un andare nascendo», ha aggiunto il vescovo di Novara.

«Le parole di Gesù, le sue immagini, la sua insuperata capacità di guardare i campi, il contadino che semina, la messe che biondeggia, la donna di casa, il pastore che ha perso la sua pecora, il padre e i suoi figli, il pescatore che raccoglie a riva i pesci, la sua sorprendente abilità a raccontare, paragonare, immaginare, pregare nella e con la vita, da dove vengono se non dall’immersione nell’humus e nella vita brulicante di Nazareth? Questo – spiega Brambilla – è il secondo passo dell’essere-per-la-nascita. Bisogna ricevere la vita posta nel tempo, addomesticarla, farle trovare una casa in cui dimorare e poter crescere, per affrontare l’avventura della vita. Senza questo tempo in cui la Parola diventa carne, non è pensabile che la carne accolga lo Spirito».

Il presidente della Commissione Cei per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, poi, si è soffermato su «una spiritualità della nascita ha il compito di pensare l’“inizio” dell’uomo e della donna come l’“origine” sempre presente nel cammino della vita. Siccome la (propria) nascita appare inaccessibile, sembra facile concludere che è anche impensabile. Noi, infatti, ci consideriamo “mortali”, più che “natali”: è la paura della morte a guidare la riflessione, più che la meraviglia della nascita. Ma quali sarebbero gli aspetti decisivi di un pensiero della nascita?».

Tra le conclusioni proposte dal vescovo Brambilla vi è un’apertura sulla dimensione relazionale della nascita: «Nella nascita il vivente singolare non si mette al mondo da solo, ma viene “messo al mondo” da altri. Si viene alla vita e si entra in una relazione costitutiva che prima di tutto dev’essere narrata nella sua concretezza. Non siamo noi che nasciamo, ma siamo “fatti nascere” nella generazione. Il tempo e il nome della nascita è il nostro codice di identità nella relazione all’altro generante: in prima battuta la madre, poi, col suo racconto, il padre che persino può essere occultato e travisato. Lo sviluppo dell’Io del bambino, e della coscienza dell’Io, – conclude – avviene nel rapporto con il tu».