{module AddThis} bisogni e cambi in meglio la nostra vita, ma speranza ancorata sulla promessa che Dio ha fatto al suo popolo, che ha realizzato nell’incarnazione morte e risurrezione di suo Figlio e che completerà con noi con la seconda venuta di Gesù Cristo.
Il tempo della promessa è bene tracciato dal profeta Geremia: “Ecco verranno giorni nei quali io realizzerò le promesse di bene”.
Una promessa che contiene l’azione di Dio: “Farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia”; annuncia la missione di Gesù, “Egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra” è porta con sé la trasformazione della realtà, “Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla.
Così sarà chiamata: «Signore nostra giustizia»”.
Questa profezia è stata realizzata pienamente da Gesù Cristo e ha trasformato non solo la città di Gerusalemme e di Giuda, ma tutta l’umanità.
A Lui si riferisce S. Paolo quando ci esorta ad abbondare e crescere nell’amore vicendevole e verso tutti.
È grazie al Signore e nel Signore che possiamo amare e rendere saldi i nostri cuori, quei cuori pronti per essere presentati a Dio nel momento della seconda venuta di Gesù Cristo con tutti i suoi santi.
La seconda venuta ci ricorda il vangelo secondo S. Luca, è caratterizzata da un segno.
Il potere della natura e degli uomini sarà svuotato, perderà il suo valore e in quel vuoto, quando lo stesso ordinamento cosmico non ostacolerà la visione, allora si vedrà la vera potenza, quella del Figlio dell’Uomo che viene sulle nubi.
Si vedrà se il nostro occhio, la lucerna del nostro corpo, sarà terso, allora anche le tenebre diventeranno luce (Cfr. Mt 6,22-23). Dopo questa visione e in questo spazio creato da Dio, l’uomo si potrà presentare.
“La vostra liberazione è vicina”, quello che è necessario, ciò che dipendeva da Dio, è stato compiuto dal Figlio, quel regno che aveva annunciato e realizzato è diventato la nostra libertà, la liberazione è vicina.
All’uomo non restano che due atteggiamenti tipici dell’attesa: l’attenzione del cuore e la vigilanza.
“State attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”.
Quando Gesù parla di cuore appesantito, fa certamente allusione a ciò che aveva proclamato nel discorso della montagna.
“Non accumulate tesori sulla terra dove tignola e ruggine consumano, dove ladri scassinano e portano via.
Accumulate tesori in cielo, dove tignola e ruggine non consumano e dove i ladri non scassinano e non portano via. Infatti, dov’è il tuo tesoro, lì sarà il tuo cuore” (Mt 6,19-21).
Con il verbo appesantire Gesù fa riferimento a un’affezione sbagliata delle cose della terra. Tutto ciò rende arido il cuore: “dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”.
Indicano singolarmente e nell’insieme una mancanza di orientamento, un cuore che paradossalmente non fissato sul vero bene diventa immobile e imprigionato.
In questa situazione d’immobilità si deve interpretare la modalità del giorno e non solo la temporalità; “improvviso” qui, infatti, non ha solo valore cronologico, ma anche “situazionale”.
L’immagine del laccio fa riferimento a qualcosa che ti può afferrare perché non sei capace di nessun movimento, talmente appesantito e pesante da essere diventato immobile.
Si capiscono a questo punto i due atteggiamenti positivi della vigilanza e della preghiera come l’unico antitodo per non cadere nella tentazione della “pesantezza”, paradossalmente due atteggiamenti che fisicamente sembrano statici, in realtà sono quelli che creano il movimento spirituale dell’avvento, quello che nella sapienza biblica/liturgica il salmo ci fa ripetere: “A te, Signore innalzo l’anima mia”.