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Accettare con amore la potatura per dare più frutto

Ma a questa espressione di umana impotenza Gesù ne premette un’altra, «senza di me», con la quale ci fa intravedere la via d’uscita da ogni situazione di fallimento: è la comunione con Lui la strada per portare frutto nella vita. L’immagine usata per indicare tale intima relazione è quella della vite con i tralci. L’evangelista esordisce con una sostanziale novità riguardo l’impiego dell’allegoria, perché negli scritti profetici la vigna aveva sempre rappresentato Israele. Adesso è Cristo stesso la vite piantata dal Padre, è Gesù che realizza nella propria persona quei frutti abbondanti d’amore che Dio si attendeva da tutta l’umanità. Il tralcio è destinato a portare frutto ‘in Lui’, poiché nella vite e nei tralci scorre la medesima linfa, e fuori di Lui non c’è possibilità di vivere e generare vita. È importante chiedersi se crediamo fermamente a questa verità, perché spesso l’uomo si ostina a percorrere vie che non sono quelle del Signore, vuole sperimentare la propria autonomia, pensando di aver trovato la chiave della felicità indipendentemente dai comandamenti di Dio e dalle sue ispirazioni. Così facendo, si diventa un tralcio improduttivo, che in Israele veniva tagliato verso marzo o aprile, cioè «siamo rami morti; siamo non-figli, che si autoescludono dal Figlio e dal Padre, recisi dalla fonte della vita» (Silvano Fausti). Quello che produciamo senza Dio, anche se può apparire bello a vedersi, in realtà è solo morte e richiede l’eliminazione radicale. In agosto si mondavano i germogli più deboli per favorire i migliori. Ora, la potatura è un taglio che se sul momento mortifica e fa piangere la pianta, al momento opportuno la rende capace di generare un frutto più abbondante. Ogni taglio ci fa soffrire, lascia il segno, ma il credente, se vuole che da esso derivi un germoglio tutto nuovo, è chiamato ad accettarlo per amore, confidando nella promessa di fecondità di Dio. «Se non siamo attaccati a qualcosa di vivo, allora quei tagli conducono alla morte, ma se siamo attaccati a qualcosa di vivo, sono per un miglioramento» (Luigi Maria Epicoco). Come vivere l’attesa di dare frutto quando ancora stai rimpiangendo lo stato precedente in cui eri qualcosa, mentre ora non sei niente? Osservando la Parola che realizza la potatura, purifica, libera da ogni inganno e indica alla coscienza la verità.
L’appello di Gesù si fa poi più diretto: «rimanete in me e io in voi». È un invito appassionato ma rispettoso della libertà umana, la raccomandazione del padre che intende coinvolgere nelle sue iniziative il figlio, senza imporsi. D’altra parte, se noi non vogliamo dimorare in Gesù, non c’è alcuna motivazione spirituale che regga, perché la voce del mondo sa essere molto convincente e agisce compulsivamente sulla nostra immaginazione. Invece per rimanere con Cristo occorre pensare al frutto che vogliamo produrre, all’amore su cui intendiamo investire. Chi scommette sulle soddisfazioni trae un frutto immediato ma che si consuma presto e alla fine non ne rimane nulla; chi investe sull’amore che viene da Dio dovrà attendere che le intenzioni d’amore maturino in opere, accontentarsi a volte di tratteggiare soltanto dei percorsi che altri proseguiranno, ma avrà la gioia di aver scelto sempre e solo l’amore di Dio. Gesù insiste: per avere la certezza di rimanere in Lui non dobbiamo staccarci dalla sua Parola, come un infante non vorrebbe mai staccarsi dal seno materno. Questo darà la felice sensazione di possedere tutto ciò che desideriamo, perché i nostri desideri si saranno conformati ai suoi: «chiedete quello che volete e vi sarà fatto». Non chiederemo niente di diverso o di più di quanto la Provvidenza ci assegna, con la gioia rendere gloria al Padre per il fatto che produciamo i frutti che Egli si aspetta da noi. È questo il cammino del discepolato, un itinerario fecondo, ma che richiede il tempo della crescita e della potatura: pensare di saltare uno di questi passaggi significa rimanere sterili.