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“A Cracovia come mendicanti, la Calabria ha bisogno di riscatto”

Gmg 2016, intervista a mons. Savino, vescovo di Rossano allo Jonio

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Eccellenza, siamo alle soglie della XXXI GMG. Ha senso oggi continuare a celebrare la Giornata Mondiale della Gioventù?
Io le rispondo subito di si. La Giornata Mondiale della Gioventù è una bella occasione di aggregazione giovanile, un convenire di culture diverse, dove si può vivere quella che un grande vescovo, don Tonino Bello, chiamava “la convivialità delle differenze”. Noi dobbiamo educare i giovani a saper stare con gli altri, con le culture “alte e altre”, evitando l’atteggiamento di rifiuto del diverso e dello sconosciuto. Oggi attraversiamo un periodo di regressione culturale: è più facile vedere nell’altro un nemico più che un amico. Più che mai dobbiamo passare dalla cultura dello scontro e dell’intolleranza, alla cultura dell’incontro e del dialogo. La Giornata Mondiale della Gioventù vuole essere soprattutto una testimonianza di incontro tra giovani, che appartengono tutti alla stessa Chiesa, con percorsi diversi…tutti provengono da diocesi e associazioni diverse. Ma la cosa bella è che le differenze sono una risorsa e l’unità si realizza in Cristo.
Lei cosa si aspetta da questo evento?
Dalla GMG mi aspetto che i giovani abbiano l’opportunità, oserei dire “un Kairos”…un’occasione di Grazia, di incontrare Cristo. Ho proposto ai giovani della mia diocesi che questo viaggio sia vissuto come un pellegrinaggio, un esodo, nella consapevolezza che c’è sempre un esilio e una consapevolezza da cui partire per arrivare a nuovi approdi attraverso cammini di conversione. E poi ho suggerito loro alcuni atteggiamenti per vivere l’esperienza di Cracovia: l’atteggiamento del pellegrino, del nomade e del mendicante. Io vorrei che tutti andassimo a Cracovia con lo spirito della mendicanza, consapevoli delle nostre povertà. È l’incontro con Cristo, che ci ama di un amore incondizionato e asimmetrico, che arricchisce la nostra vita.
Lei ha parlato di “esodo”…forse è la parola giusta per descrivere la “fuga” dei giovani dalla Calabria. È solo una questione di occupazione o inizia ad essere un problema “di ambiente”? Anche la popolazione universitaria si è dimezzata…
Le ragioni sono diverse, se non imprimiamo una svolta antropologica, culturale ed anche ecclesiale, la Calabria rischia di diventare una regione per adulti ed anziani, una specie di dormitorio. I ragazzi fuggono per ragioni molto diverse, ne sintetizzo due.
La prima: dalla Calabria i giovani fuggono per cercare lavoro.
La seconda: fuggono per una questione culturale, mentale. La Calabria è un territorio bellissimo, ma molto sfigurato. Abbiamo bisogno di sperimentare la quinta via del Convegno di Firenze, la via della Trasfigurazione. Nel nostro caso significa cambiare mentalità ed alcuni aspetti della cultura: la Calabria è stata schiavizzata, c’è la cultura della sudditanza e dell’elemosina. Non c’è la cultura dei diritti, che vengono concessi a tutti per elemosina o ad alcuni perché appartenenti a cordate…c’è una tradizione molto lobbistica. Sono convinto che dobbiamo affermare la cultura dei diritti. I diritti sono fondamentali per la crescita globale di una persona e di un territorio. I giovani oggi fuggono anche per evitare questa sudditanza, perché in Calabria non si respira un’aria di libertà. Infatti è difficile che chi va via per studiare poi ritorni…l’esodo diventa irreversibile. Se non ci diamo tutti da fare per attivare processi di cambiamento i giovani continueranno a scappare.
Un esodo inarrestabile, dunque?
Papa Francesco nel quarto capitolo dell’Evangelii Gaudium ci affida alcuni principi importanti per abitare il mondo, ne ricordo due che valgono più degli altri per la Calabria: “la realtà è più dell’idea” ed “il tempo è più dello spazio”. La Calabria deve darsi un tempo rispetto allo spazio. Lo spazio viene occupato, il tempo attiva processi di cambiamento. Noi Calabresi possiamo farcela ad innescare un cambiamento virtuoso. La Chiesa deve ripartire dagli ultimi, deve camminare col passo delle vittime, delle persone che hanno perso la loro dignità a causa di una cultura che rende “schiavizzati”.
E cosa può fare la Chiesa insieme ai giovani? Quali sono le speranze e le aspettative per la pastorale giovanile in Calabria?
Ho proposto alla Consulta Regionale, come delegato della Conferenza Episcopale Calabra, che all’indomani dell’esperienza di Cracovia si inizi a scrivere insieme una traccia di pastorale giovanile condivisa, scritta con i giovani e per i giovani. Anche nella Chiesa, molto spesso, noto un virus endemico che uccide la cultura del sud e che ha fatto del Meridione la ruota di scorta dell’Italia. A noi Calabresi manca la sapienza del camminare insieme, al di là di ogni autoreferenzialità ed individualismo. La Chiesa Calabrese deve testimoniare di essere un popolo capace di camminare insieme, sia pure nelle diverse sensibilità, con il Vangelo tra le mani, l’Eucaristia nel cuore, guardando sempre e comunque a Cristo, crocifisso e risorto per noi e con noi.
La Calabria è una terra che è afflitta dalla grande piaga della ‘ndrangheta. Nei giorni scorsi diverse inchieste condotte da alcune procure calabresi, hanno dimostrato che molti diventano “’ndranghetisti” a 18 anni. Come affrontare e vincere questa piaga…proprio a partire dalla realtà giovanile?
Dico subito un netto no all’illegalità individuale, collettiva e comunitaria. Dico no ad ogni mancanza di trasparenza. Dico di sì, invece, ad ogni forma di legalità. Oggi la ‘ndrangheta ha una marcia in più rispetto allo Stato, offre lavoro, compagnia, solidarietà concreta. Voglio fare un grande appello a tutti i giovani calabresi: non lasciatevi abbagliare e sedurre dall’ipermercato dell’illegalità: non vende la felicità, ma soltanto un momento di esaltazione facendolo pagare caramente. Il futuro di chi entra nei circuiti malavitosi, infatti, è nero, senza speranza e senza dignità.