Il Battista, però, non si lascia tentare neanche per un attimo dalla vanagloria; dimostra invece di essere fino in fondo servo della verità spostando l’attenzione su Gesù. Giovanni «rispose a tutti», volendo fugare ogni dubbio e proponendo a ciascuno, senza esclusione, il dirompente annuncio che «viene colui che è più forte di me». Spesso non è facile ammettere neanche a se stessi che c’è uno migliore di sé; ancor più raro è trovare qualcuno che lo ammetta pubblicamente. Tuttavia nel caso del Battista non c’è posto per l’invidia, perché la creatura non può essere invidiosa del Creatore e, se lo è, significa che non ha maturato una buona autocomprensione. Giovanni può farsi da parte perché è prima di tutti lui stesso ad attendere Cristo, che egli identifica come lo sposo. Difatti l’immagine di slegare il laccio dei sandali è tutta sponsale e si riferisce al rito dello scalzamento: chi rinunciava a prendere in sposa la moglie del fratello, rimasta vedova senza figli, cedeva a chi occupava il posto successivo nella scala giuridica tale diritto; quest’ultimo doveva sciogliere il legaccio del sandalo di chi si era rifiutato e sputarci sopra, sottolineando in tal modo che passava a lui la facoltà di fecondare la donna. Il Battista, affermando di non essere «degno di slegare i lacci dei sandali», sta dicendo che non è lui lo sposo; egli immerge nell’acqua per purificare, mentre il Messia donerà lo Spirito per dare vita. Dalla preparazione al compimento, una legge della vita che non si può disattendere: come chi non studia non è promosso e chi non lavora non mangia, il principio è ancor più stringente nella vita spirituale, perché chi prima non rimuove da sé gli affetti disordinati non può vivere una relazione affettiva e filiale con Dio.
Il brano successivo è la celebrazione di tale figliolanza. Osserviamo anzitutto un intero popolo che si lascia purificare; certo non era tutto Israele ma Luca usa questa iperbole immaginando già la ricapitolazione di tutta l’umanità in Cristo, l’offerta della salvezza rivolta a ciascuno. Di Gesù non si sottolinea l’atto del battesimo, ma il momento seguente, quando il Figlio sta in preghiera. È la preghiera che ci permette di custodire la nostra identità di figli, senza di essa saremmo come dei figli che non vanno mai a trovare i genitori, tanto da non ricordare il timbro della loro voce e i lineamenti del loro volto. Segue la teofania del cielo che si apre, dello Spirito che scende su Gesù sotto forma di colomba e della voce del Padre che si compiace del Figlio. Nel versetto successivo, non riportato dalla nostro testo, Luca dirà che Gesù all’età di trent’anni diede inizio al suo ministero, collocato dunque dopo il battesimo. Noi possiamo iniziare qualcosa di sensato nella vita solo dopo aver fatto un’esperienza profonda della paternità di Dio, solo dopo aver ascoltato la sua voce che ci dichiara amore e fiducia incondizionati. Se non sperimento questo, rischio di chiedere vita a qualcun altro e a qualcos’altro, non al Signore. A chi chiedo vita? Nessuno è principio di vita a se stesso, ma deve chiederla a qualcun altro. Se cerco vita nell’uomo, riceverò forse comprensione, affetto, ecc., ma non la vita che non muore, di cui il mio cuore ha bisogno. L’uomo può darti solo ciò che è mortale; Dio invece ti dà la vita immortale. Oggi la gente non chiede più a Dio vita, chiede a tutti e non a Lui. E il Signore che fa? Continua a dare, a benedire, a far piovere dall’alto, a seminare, anche se sa che gran parte di questo dono andrà perduta e nessuno se ne accorgerà. Credo però che un giorno ci verranno rivelati tutti i regali di Dio che non abbiamo saputo cogliere e che avrebbero avuto immense possibilità di sviluppo. Se tu perdi un’occasione, Dio comunque te ne offre subito un’altra perché è un Padre che ama ricominciare sempre e ama ciascuno dei suoi figli come quel giorno al Giordano ha amato Gesù, tanto da gridare dal cielo tutta la sua tenerezza.