La comunità del Seminario arcivescovile “Pio XI” e l’intera diocesi di Reggio Calabria – Bova hanno vissuto, ieri, un altro importante momento di gioia e fede, all’insegna del prezioso dono delle vocazioni.
Reggio Calabria, don Angelo Pensabene è diacono
Nella parrocchia di San Biagio a Gallico Superiore, don Angelo Pensabene è stato ordinato diacono per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria di monsignor Fortunato Morrone, arcivescovo metropolita di Reggio Calabria – Bova.
In tanti hanno partecipato alla celebrazione, accompagnando Angelo nella pronuncia di uno degli «eccomi» più importanti della sua vita. Nell’omelia, il vescovo Morrone ha richiamato il significato profondo di questa chiamata, descrivendo il «sì» di Angelo come «un dono in più» alla comunità: «Nel sì e con il sì di Angelo la nostra Chiesa, votata all’annuncio del Vangelo e a spezzare il pane eucaristico per tutti, è ancora più bella e più ricca», sono state le parole del presule.
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Il vescovo Fortunato ha, poi, rinnovato l’invito di Gesù ad attraversare la «porta stretta» della salvezza che conduce alla «vita», alla testimonianza del Vangelo, rappresentato proprio dal «sì» di don Angelo Pensabene.
L’omelia dell’arcivescovo Morrone: «Il sì di Angelo un dono più per la nostra Chiesa»
di Fortunato Morrone *
Cari fratelli e sorelle della comunità parrocchiale di san Biagio, caro don Nino Russo, questa sera siamo chiamati a ringraziare il Signore per un figlio di questa comunità. Angelo sarà ordinato diacono per servire la nostra Chiesa di Reggio-Bova, nei tanti membri che la compongono. Nel sì e con il sì di Angelo la nostra Chiesa, votata all’annuncio del Vangelo e a spezzare il pane eucaristico per tutti, è ancora più bella e più ricca. Ringraziamo il Signore per la tua famiglia, Angelo, per chi fin qui ha accompagnato il tuo cammino formativo in Seminario, le precedenti equipe e quella attuale con il suo nuovo rettore don Simone e insieme a loro tutti coloro, amici e amiche, i parroci di questa parrocchia, i compagni di cammino seminaristi, che ti hanno testimoniato la gioia generativa di vita nel seguire Gesù.
Pertanto grazie anche a te, Angelo: la tua generosa risposta al Signore è un dono in più per tutti noi. Immagino che lo stile di vita di Gesù, umanissimo e feriale, ha rapito il tuo cuore e, senza alcun tuo merito, ti ha attratto nell’orbita della sua stessa missione: annunciare e testimoniare che Dio è Padre e si prende cura di tutti, non senza di te, mediante te. Oggi sei sostenuto e confermato, in questa tua sincera disponibilità, dalla forza gentile e creativa dello Spirito Santo per il tuo ministero diaconale. Nella nostra fede confessiamo che Dio si interessa della nostra vita e lo fa con tutta la Sua passione, con le sue viscere di misericordia. Noi tutti siamo chiamati ad annunciare e vivere la sua stessa passione: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36).
Tuttavia l’amore gratuito del Padre per tutti i suoi figli e le sue figlie non si può conquistare con i propri meriti, ma può essere solo invocato, accolto, condiviso con tutti i nostri limiti. È questo il Vangelo, la bella notizia che fa vibrare le corde più intime dell’animo umano, riscalda il cuore di ogni persona che da questo annuncio sarà raggiunta anche da te, Angelo. Per questo sei qui questa sera. L’ardente passione del Signore per tutti ti ha attratto, originando in te le energie migliori per metterle al servizio del Suo Vangelo a vantaggio di tutti, a partire dagli ultimi.
Questa è la prima e fondamentale carità salvifica che, come diacono, sei chiamato a vivere, con tutto il tuo cuore. L’evangelista Luca ci ricorda, infatti, se ce ne fossimo dimenticati, che Gesù «attraversava villaggi e città, insegnando-evangelizzando, mentre saliva a Gerusalemme». L’annuncio del Regno è in sé salvezza se viene accolto dalla libertà umana, ma rimane sempre e comunque dono incondizionato da parte del Padre di Gesù mentre sul nostro versante è condizionato dalla nostra libertà a cui Dio è legato, perché liberamente amante dei suoi figli e delle sue figlie.
Se in sintesi stanno così le cose, ecco la domanda: ma chi si salva? Probabilmente è questa la questione umana di fondo che dà voce al desiderio di salvezza, di vita serena, pacificata, giusta, solidale, fraterna che nel profondo abita il cuore di tutti dentro e oltre questa storia. E poi: sono pochi quelli che si salvano? E considerando come gira questo mondo con le sue atrocità e ingiustizie, di cui le guerre sono la rappresentazione più drammatica e infernale, ci rendiamo conto che salvarsi, sperare in un domani migliore, è tutt’altro che scontato. Gesù, per un verso, parla di porta stretta che bisogna forzare per entrare nella vita, ma molti non entreranno; dall’altro afferma che una moltitudine di persone provenienti da oriente e da occidente entreranno nel Regno, letteralmente si sdraieranno nel Suo Regno. Ma com’è questa logica quasi contraddittoria? Cos’è allora salvezza? E poi, Signore, nel tuo monito, parli di noi o ti riferisci a coloro che neppure conoscono una sillaba del Tuo Vangelo e ignorano, anche nel nostro territorio, perfino le pareti di questa chiesa?
Rileggendo il testo del Vangelo dobbiamo subito rilevare che la porta stretta è chiusa per noi, che, insieme a coloro che nella parabola sono rimasti fuori, protestiamo: «Ma come, abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato in mezzo a noi, ogni domenica, anzi tutti i giorni nella celebrazione eucaristica». E se poi è più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che a una persona entrare nel Regno, allora «Chi dunque può essere salvato?» (Mt 19,25). In realtà dobbiamo sempre considerare che proprio in questo Vangelo, Luca (cfr. 14,15ss) ci ricorda che Dio è essenzialmente misericordia e desidera che nessuno rimanga fuori dalla Sua casa, anzi che la sua casa, dove Lui ha preparato una grande cena, si riempia, sia stipata all’inverosimile di tutti i suoi figli. La volontà salvifica del Padre di Gesù è chiara ed è universale (cfr. 1Timoteo 2,4), ma chiede a ciascuno di noi, graziati dalla conoscenza della Sua volontà, di non sentirci arrivati, giusti, impeccabili, superumani, dei, divi, dominus. In realtà nella richiesta di quell’uomo c’è la speranza di essere salvati da tutto quello che ci impedisce di vivere umanamente quest’esistenza, che non ci annientiamo gli uni gli altri, che tutti gli strumenti culturali e tecnologici a nostra disposizione per rendere quest’esistenza più vivibile non vengano utilizzati contro la dignità delle persone. Dentro i drammi che si consumano tutti i giorni, ma anche con le conquiste che rendono la vita meno faticosa (ultimamente l’AI), il desiderio di salvezza è la segreta speranza, sussulto e grido di vita, che nell’ora della morte non ci perdiamo nel nulla. Certo, da un po’ di tempo si è creata anche l’illusione che con l’attuale scienza possiamo fare a meno del Cielo. In sintesi: il desiderio di salvarsi dalla morte, come vero limite umano, ci spinge quasi istintivamente a lottare per possedere immortalità, magari succhiando la vita da altri.
Ora Gesù, che si rivolge a ciascuno di noi, troppo sicuri di essere garantiti dalla Sua salvezza, non risponde alla domanda iniziale se sono pochi o molti ad essere salvati, ma, chiamandoci a un’altra e decisiva lotta, ci spiega come camminare verso la Vita piena, che certamente è dono-grazia di Dio, ma anche l’esito della nostra responsabile risposta e scelta che comporta, come ben sappiamo, una lotta continua, una lotta per la vita, quella che dura per sempre e che Gesù ha tracciato con la sua esistenza, culminata nel dono di sé in Croce: la porta stretta della salvezza. È la lotta contro noi stessi egocentrati, lotta in noi stessi contro le ingiustizie, le scelleratezze da noi praticate, nelle quali il Signore della vita non può riconoscersi e perciò, prendendone le distanze, non può riconoscerci come suoi. Nel testo parallelo di Matteo, inoltre, si parla sia di porta stretta che di via angusta; ma si segnala anche il contrario, cioè porta larga e via spaziosa che conducono alla perdizione (apooleia, rovina, spreco: di doni, di grazia, di benedizioni – così in Mt 7,13-14). L’iniquità-ingiustizia più grande, la porta larga, che porta al fallimento consiste pertanto nel pensare con grande presunzione e arroganza (dis-graziati) di salvarci da soli, con le nostre sole forze, senza bisogno degli altri né tanto meno di Dio, agendo di conseguenza.
La porta stretta e la via angusta, che contempliamo in Gesù, attraverso cui passare calcando le sue orme nel cammino di questa vita (cfr. 1Pt 2,21), mentre segnala che l’invito alla festa è sempre aperto, tuttavia la porta dell’occasione che resta aperta per tutta la vita si chiuderà una volta per sempre nell’ora della morte: attimo che sigilla la nostra esistenza nel misterioso intreccio tra la misericordia di Dio e la nostra personale libertà. Ecco allora l’invito alla lotta, a non mollare la presa sulla giustizia, condivisione, equità, fraternità, perdono, pace, sulla misericordia, proprio perché abbiamo creduto a questo Vangelo il cui volto è Gesù, via e porta di Vita, Verità incarnata di Dio e dell’uomo.
Ma c’è un’altra lotta da affrontare: «molti – afferma il Signore – vi dico, cercheranno di entrare, ma non avranno la forza», cioè vuol dire che nessuno può salvarsi da se stesso. La salvezza è anzitutto nel lasciarsi amare gratuitamente da Dio, riconoscendo l’agire gratuito di chi ama così, senza interessi. La prima lotta è non interpretare con la logica del merito l’amore ricevuto o dato. Se confessiamo che Dio è grazia, dov’è il merito? Già in questo principia la lotta e accade in noi.
Ecco la porta stretta a cui tutti i battezzati sono chiamati ad attraversare e che tu, Angelo, oggi, con il tuo sì, con la tua esistenza, nel tuo ministero diaconale, ci rappresenti lo specifico dell’essere cristiani, l’essenziale dell’essere Chiesa quale sacramento di vita, di salvezza. Tu oggi accetti di passare attraverso la porta stretta personificata nel gesto supremo dell’Amore crocifisso del Signore Gesù, l’Amore casto, che ha generato vita per sempre, capovolgendo la logica mondana del potere predatorio di questo mondo. Pertanto, non mettere nessuno sotto i tuoi piedi quando potrai avere il potere di farlo, [il ministero ti offre «potere» sulle persone a buon mercato …] al contrario, per questo oggi ti esponi di fronte alla comunità, sei disposto a metterti ai piedi delle persone che non possono darti nulla in contraccambio, come Gesù.
Ecco, caro Angelo, ce lo diciamo con chiarezza: generare vita come Gesù, perdonare come Gesù, essere misericordiosi come Gesù, lottare per la giustizia come Gesù, pagando di persona perché nessuno rimanga indietro nel diritto al lavoro, alla casa, agli affetti, alla parola, non agire per i propri interessi mascherandoli di carità, insomma: amare come il Signore Gesù è la vera porta stretta richiesta a noi cristiani per entrare nella vita, è il “di più” evangelico, l’unico e il vero linguaggio che può convincere le persone che Dio è veramente l’amante della vita, è l’Amore, l’Unico che vince ogni morte.
Ti affido, ti affidiamo allo sguardo materno di Maria e alla sua intercessione perché il tuo ministero diaconale «generoso e caritatevolmente casto», sia un richiamo costante al Vangelo. Amen!
* Arcivescovo Metropolita di Reggio Calabria – Bova
L’articolo Don Angelo Pensabene è diacono. Morrone: «Con il suo sì la nostra Chiesa è più bella e ricca» proviene da Avvenire di Calabria.