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Padre Sergio Ucciardo saluta Reggio Calabria: «Qui ho trascorso otto anni fondamentali della mia vita»

Nei giorni scorsi padre Sergio Ucciardo, rettore della Chiesa degli Ottimati a Reggio Calabria, ha lasciato lo Stretto per trasferirsi nella sua nuova comunità: sarà parroco di San Luigi Gonzaga a Posillipo.

Padre Sergio Ucciardo saluta Reggio Calabria: l’intervista

Poche ore prima della sua partenza abbiamo raggiunto padre Sergio Ucciardo per farci raccontare come ha accolto questa nuova obbedienza che le è stata chiesta: «L’ho accolta con molta naturalezza – ha raccontato padre Sergio ad Avvenire di Calabria – perché col tempo ho capito che l’obbedienza, come voto nella vita religiosa, ha una caratteristica fondamentale: mi ricorda che ciò che sto facendo non è principalmente una… “cosa mia”. Anche mia».

«L’obbedienza – ancora il gesuita – è liberante perché mi aiuta a capire che l’orizzonte in cui sono chiamato a vivere non è quello di un mio progetto personale: io partecipo a ‘qualcosa’ che mi precede e che seguirà la mia stessa azione. Questo voto, in fondo, mi aiuta ad entrare nella dimensione che ci indica proprio il Risorto alla fine del Vangelo quando dice: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”. L’obbedienza mi permette di essere libero per quel ‘tutto’ e per quell’‘ogni’».

Con quale stato d’animo lascia la sua comunità degli Ottimati e la diocesi di Reggio?

Due punti per sintetizzare: gratitudine e desiderio di ridonare quello che ho ricevuto. Questi otto anni sono stati molto importanti per il mio percorso umano. Incontrare e lasciarsi incontrare da persone molto diverse tra loro mi ha permesso di fare esperienza della complessità del cuore umano.

La gratitudine è la conseguenza naturale dell’aver preso atto di un cammino innanzitutto mio personale verso la maturità umana e, di conseguenza, una comprensione più profonda del Vangelo stesso che mi chiede, in fondo, di consegnare tutto questo a chi incontrerò.

Lei, in questi anni, è stato molto impegnato con l’apostolato rivolto alle famiglie…cosa le è rimasto di questo percorso?

Mi porto via una maggiore conoscenza della delicata e profonda complessità del mondo della coppia, in cui si giocano – in maniera profonda – l’incontro e il dialogo delle due parti. Tale complessità è emersa in maniera forte anche grazie all’approccio multidisciplinare che l’équipe, che ha guidato il percorso, ha avuto (psicologia, diritto familiare, spiritualità). Mi porto via un bellissimo lavoro di gruppo sia con gli altri organizzatori sia con tutti i partecipanti che hanno avuto modo di affrontare, in maniera originale, i vari aspetti più impegnativi della dinamica di coppia.

Ha svolto diversi compiti anche a livello diocesano: ha predicato i ritiri mensili al Clero, ha tenuto le lectio sinodali zonali…cosa l’ha positivamente colpita della nostra diocesi?

Innanzitutto ho sempre visto con piacere la buona partecipazione a ciò che veniva proposto di volta in volta. Questo per me è segno di interesse che si traduce nel desiderio di crescere e migliorare il proprio presente. Inoltre, a livello del Clero, ho visto molta vivacità per quanto riguarda le iniziative che permettono di incontrarsi e crescere come comunità: gli appuntamenti nel corso dell’anno – ritiri, incontri di formazione, occasione particolari – sono sempre numerosi e vissuti con coinvolgimento. Non poche volte ho notato un forte senso di appartenenza al territorio e all’identità spirituale e culturale della diocesi.

Il Covid ci ha messi alla prova, secondo lei la Chiesa come è cambiata dopo la Pandemia?

Sono certamente cambiate le domande per una sana e buona pastorale. Si è visto come ormai è necessario parlare sempre più di spiritualità e meno di ‘religione’, più di ‘Parola di Dio e parola dell’uomo’ e meno di formalità, schemi vecchi e frasette pronte all’uso. La pandemia ha scosso la Chiesa e le ha fatto notare che un cambio di paradigma di fede è obbligatorio, un paradigma che parli di vita e di esperienza in coerenza con quel “seguimi” (cioè ‘cammina! Fai esperienza! Vivi!) che fa iniziare il discepolato e che ha come frutto la Chiesa.

Andrà a Napoli, a San Luigi, cosa sta mettendo dentro le valigie?

C’è spazio solo per i desideri. Il primo è quello di mettere in pratica sempre più il magis ignaziano: il ‘miglior cuore’ che puoi nella situazione reale in cui ti trovi, quindi nel presente.

Il secondo – che riguarda il passato – è quello di mettere a frutto l’esperienza fatta nei miei otto anni a Reggio attraverso i pezzi di vita donati da chi ho incontrato per comprendere sempre meglio, attraverso ciò che ho vissuto, i criteri per una vita piena perché sia ancora più viva.

Il terzo è quello di costruire un futuro che parli di possibilità per realizzare ciò che siamo veramente: creature preziose e orientate alla felicità. Le valigie sono pronte.

L’articolo Padre Sergio Ucciardo saluta Reggio Calabria: «Qui ho trascorso otto anni fondamentali della mia vita» proviene da Avvenire di Calabria.