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Oltre i confini, la Caritas di Reggio Calabria al 44° Convegno nazionale

Dall’8 all’11 aprile ha avuto luogo a Grado in provincia di Gorizia il 44° Convegno Nazionale delle Caritas diocesane, dal titolo “Confini, zone di contatto, non di separazione”. Anche la Caritas diocesana reggina è stata presente a questo appuntamento con i tre sacerdoti don Francesco Megale, don Nino Russo e don Matteo De Pietro.

Convegno Caritas diocesane: Il “confine” come luogo di relazioni tra “centro” e “periferia”
A comporre la delegazione reggina don Francesco Megale, vicario episcopale per la Carità, don Nino Russo vicedirettore Caritas reggina e don Matteo De Pietro, membro equipe Caritas diocesana. Hanno partecipato al convegno di Gorizia oltre 600 delegati rappresentanti di 218 Caritas diocesane di tutta Italia, si è riflettuto sul termine “confine” come luogo di collegamento tra il centro e la periferia, che può essere visto come luogo di incontro, di scambio dove la diversità è un valore, e non come luogo di distanza, dove “l’altro” pur abitando a pochi chilometri di distanza viene visto e considerato “straniero”.

Nella società attuale complessa, globale e iperconnessa dove si sono ridotte le distanze con l’utilizzo del “virtuale”, dove basta fare il clic per collegarsi e vedere cosa succede in qualsiasi parte del mondo, si può parlare ancora di confini, la chiesa in tutto questo che ruolo ha? E soprattutto che cosa è chiamata ad annunciare e come deve lo deve annunciare?

Un’amore concreto e senza confini
Questo convegno delle Caritas è stato organizzato a Grado (GO) zona di “confine” tra l’Italia e la Slovenia ed ha voluto essere allo stesso tempo un’azione sia profetica che simbolica, questa idea è stata rafforzata da quanto detto da monsignor Francesco Moraglia patriarca di Venezia e presidente della conferenza episcopale del Triveneto all’apertura dei lavori affermando quanto segue: «la Chiesa è immersa in una dinamica d’amore concreto e senza confini. E nella nostra società è chiamata sempre più a mostrare e indicare che c’è sì la giustizia ma c’è anche la carità – le due dimensioni non vanno confuse ma vanno tenute insieme – e che la vita dell’uomo non può essere ridotta ad una concezione materialista o spiritualista che, di fatto, porterebbero a ridimensionare o umiliare la dignità dell’uomo stesso».

Le giornate del convegno hanno avuto inizio con la meditazione del testo sacro fatte dalla biblista Antonella Anghinoni, tale momento profondo e ricco di spunti è stato preparatorio a quanto a seguito al resto delle giornate.

Convegno nazionale Caritas, tra testimonianze ed esperienze a confronto
Particolarmente interessanti sono state le varie testimonianze che si sono susseguite nei diversi giorni, le cui particolarità che si sono colte sono state: la diversità, la creatività ma soprattutto una carità che parla di concretezza che si tramuta in pedagogia dei fatti. L’aspetto più rilevante è che nella nostra società ci sono tanti nodi problematici, tante fragilità ma anche tante ricchezze che non si vedono perché lavorano nel silenzio, lontano dalle luci della ribalta e soprattutto c’è un mondo giovanile che ha voglia di un mondo “diverso” e non ha nessuna voglia di “delegare” ad altri il “cambiamento” ma di essere parte attiva di questo.

Uno sguardo oltre, i temi delle quattro Assemblee tematiche
Un momento particolarmente significativo sono state le quattro Assemblee tematiche di approfondimento guidate del cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, sul tema “Chiesa di minoranza, in cammino, capace di sconfinare”, quello di Daniela Chiara, Piccola Sorella di Gesù, sul tema “Nei margini la piccolezza evangelica”, il professor Giovanni Grandi, docente di Filosofia morale presso l’Università di Trieste, su “Confini: luoghi di incontro e di convivenza delle differenze” e Gabriella Burba, sociologa, su “Carità e giustizia: quale confine?”.

Tutte le assemblee tematiche sono state particolarmente interessanti, ma ascoltare il cardinale Zenari raccontare quanto successo in Siria in questi anni è stato davvero doloroso, vedere le immagini dei bambini a cui la guerra ha rubato il futuro, gli ha tolto il diritto al gioco destinandoli ad una vita priva delle cose essenziali, vittime di una logica che non trova alcuna spiegazione umana, il cui dolore arriva a Dio e “urla”. Come è possibile che degli uomini facciano tutto questo a dei loro simili… a dei bambini innocenti che sin troppo piccoli hanno conosciuto l’orrendo gusto amaro dell’odio e della violenza, bambini che dovrebbero essere amati, coccolati e teneramente abbracciati.

Il direttore Caritas italiana Marco Pagniello: «Ripensare ai confini come zone di contatto»
A conclusione del convegno è intervenuto il direttore di Caritas italiana Marco Pagniello, che citando il primo presidente della Caritas Italiana Mons. Nervo ha ricordato che: «la cosa importante e dove poniamo i confini che per Caritas non ci sono dei limiti, ma delle “zone di contatto”, “luoghi in cui fare l’esperienza della presenza di Dio perché, il confine non ci permette di fermarci a noi stessi ma ci deve consentire di aprirci agli altri”».

Don Marco partendo dall’idea di quanto è stato importante per Gesù tenere tutti dentro, custodire ciò che gli è stato dato, ribadisce il valore delle relazioni di comunità, affermando con forza che non ci si può limitare alle sole buone opere, ma le buone opere devono avere il buon profumo di Cristo, devono raccontare il vangelo attraverso la pedagogia dei fatti e per mezzo di gesti concreti.

Lo sguardo verso il Giubileo
Don Pagniello ha concluso annunciando i prossimi appuntamenti del Giubileo 2025, in particolare il “Giubileo del mondo del volontariato” dell’8-9 marzo 2025 e il “Giubileo dei Poveri” del 16 novembre 2025.

La partecipazione a questi eventi fa percepire quanto sia importante avere consapevolezza della dimensione globale del mondo, si è parte di un tutto per cui, il confine non può essere solo fisico va sempre spostato verso un “oltre”, che ci fa sentire fratelli anche chi non conosciamo personalmente.

Vivere la fraternità significa sentire il dolore dell’altro come mio e non come un puro sentimento “pietistico” ma con cuore “compassionevole” così come il nostro maestro Gesù ci ha insegnato e vissuto. Avere lo sguardo e soprattutto il cuore aperto sul mondo non significa trascurare la dimensione “locale” ma portare in questa quanto sperimentato per condividere quanto in dono ricevuto.