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Disabilità e lavoro, dalla Calabria una prospettiva “nuova”

Quando a fare la differenza, anche in campo lavorativo, sono proprio le diversità: è stata questa la “traccia” che ha fatto da filo conduttore dell’importante seminario sulle disabilità promosso dalla Pastorale per le persone disabili e dall’Ufficio nazionale lavoro della Cei che si è svolto a Reggio Calabria. A confronto diverse realtà provenienti da tutta Italia.

Quando si parla di inclusione di persone fragili, anche la Calabria non si fa trovare impreparata. Certo, c’è ancora molto da fare, ma un po’ su tutto il territorio nazionale. Momenti di confronto diventano occasione per stimolare un nuovo approccio, come è accaduto nei giorni scorsi a Reggio Calabria.

L’incantevole cornice della Tenuta “Tramontana” ha ospitato, lunedì 27 novembre, il seminario di studi su disabilità e lavoro: “Un altro punto di vista: il valore della differenza”, organizzato dal Servizio Nazionale per la pastorale delle persone con disabilità e dall’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza episcopale italiana.

Giunto alla seconda edizione, l’appuntamento – come già raccontato sulle pagine dell’ultimo numero di Avvenire di Calabria in edicola domenica con il quotidiano nazionale Avvenire – si è svolto alla vigilia della Giornata mondiale delle persone con disabilità che si è celebrata proprio domenica 3 dicembre.

I lavori, introdotti dal saluto dell’arcivescovo di Reggio Calabria – Bova e presidente della Cec, monsignor Fortunato Morrone, hanno visto confrontarsi diverse realtà provenienti da tutta Italia che, sul campo, offrono e promuovono un diverso approccio alla disabilità. È intervenuto anche il vice presidente della Cei e vescovo di Cassano Jonio, monsignor Francesco Savino. Il tema dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità è stato al centro del confronto, con uno sguardo rivolto anche alla sfera personale e sociale dell’individuo.

«Quando si guarda al mondo della disabilità ci si ferma spesso alla diagnosi. Si pensa a persone che non hanno un progetto di vita, fermandoci all’età evolutiva del mondo della scuola», ha detto ad Avvenire di Calabria suor Veronica Donatello, responsabile della Pastorale per le disabilità della Cei.

«La sfida – ha aggiunto – è ribaltare questa idea, offrendo un punto di vista diverso che è poi far capire che anche i disabili diventano prima giovani e poi adulti che vogliono lavorare e acquisire autonomia».

Per la religiosa alcantarina «la Chiesa è chiamata a farsi voce di chi non ha voce ». Da qui il bisogno di mettere a confronto sociale e mondo del lavoro. Durante l’incontro, cariche di significato sono state le testimonianze di alcuni giovani disabili, consapevoli che la loro esperienza lavorativa possa servire da modello per altri giovani in analoghe condizioni.

«C’è necessità, davvero, di fare rete coinvolgendo non solo le realtà sociali, ma anche imprenditoriali. Molti pregiudizi devono essere ancora ribaltati, serve una rivoluzione culturale».
«La Calabria, dall’incontro dell’anno scorso, è la realtà che si è messa più in moto, forse perché sente di più il tema delle fragilità». Da qui la scelta, ha spiegato suor Veronica, di organizzare il secondo seminario a Reggio Calabria, dove «si sono incontrate realtà eterogenee, provenienti sia dall’estremo nord che dall’estremo sud del Paese».

A fare gli onori di casa il presidente della Camera di Commercio reggina e di Unioncamere Calabria, Antonino Tramontana. «Anche le imprese – ha detto – devono fare la propria parte. Come enti camerali ci faremo portavoce dell’inclusione dei disabili nel mondo del lavoro».

Recentemente, ha aggiunto, «con la Regione abbiamo stipulato un protocollo volto a favorire l’occupazione giovanile. Chiederemo di tenere conto anche dei giovani con disabilità. Come i loro coetanei devono avere stesse opportunità».

Nell’intervista rilasciata a margine del seminario, sul tema dell’incontro e sulle disabilità in genere, abbiamo anche sentito don Bruno Bignami. Il direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro ha detto anche come ripensare oggi a una “rinnovata” pastorale per gli ultimi. Ecco di seguito l’intervista pubblicata sulle pagine dell’edizione domenicale di Avvenire di Calabria, in edicola con Avvenire.

Don Bruno, attorno al termine “disabilità” ci sono ancora tanti pregiudizi…
È uno dei temi che come una sorta di spia accesa ci indica la qualità e il livello della democrazia e della partecipazione nel nostro Paese. Le persone con disabilità ci ricordano che la dimensione della fragilità è propria di ogni persona. Non c’è un lavoro per perfetti, ma per le persone riconosciute come tali nella loro dignità.

Qual è la prospettiva?
Più siamo capaci di coinvolgere gli ultimi, più ne beneficia la nostra democrazia. È del resto il tema – “Il cuore della democrazia” – che sarà al centro della 50ª Settimana sociale di Trieste a cui la Chiesa si sta preparando.

Chi sono oggi gli ultimi?
Sono sicuramente i disabili, le persone che rischiano continuamente di rimanere ai margini. Le donne che, a parità di condizione, non hanno lo stesso salario degli uomini. Oggi gli ultimi sono rappresentati da tante categorie. Pensiamo ad esempio coloro che sono costretti alle dimissioni per condizioni lavorative non soddisfacenti oppure i giovani che non trovano opportunità nei loro territorio di nascita.

Quale potrebbe essere una “nuova” pastorale che guarda gli ultimi e alle disabilità?
La pastorale mette al centro le persone. Questo comporta un cambio di paradigma passando dalla logica utilitaristica del «chi mi serve » a una dimensione che metta al centro l’individuo. I disabili ci ricordano questo: devo trattare ogni persona come unica.

Il lavoro può essere uno strumento?
Non è una cosa facile, tante imprese preferiscono pagare una multa piuttosto che assumere persone con disabilità, ma il cambio di paradigma di cui parlavo apre ad una prospettiva culturale notevole in cui ciascuno offre un contributo per migliorare la nostra società.